Io, di solito, arrivo sempre tardi alle discussioni che avvengono in rete.
Le ragioni di questo ritardo cronico sono almeno un paio. Da un parte (e per certi versi è proprio di questo che si parlerà) la maggior parte delle discussioni avviene ormai sui social network, luoghi che non disdegno, ma che frequento nel tempo libero, spesso solo alla sera, certo non in continuo durante la giornata con quell'attenzione, parziale ma costante, che sembrano richiedere. Dall'altra parte, per le discussioni che mirano ad andare un po' in profondità, la dimensione di un status update su Facebook o dei 140 caratteri di Twitter mi sta spesso troppo stretta, per cui esito, e poi finisco a sproloquiare altrove, giorni dopo.
Finisce così che, almeno un paio di settimane fa, leggo della risoluzione di Peppe Liberti a chiudere il suo (bel) blog, per dedicarsi (probabilmente) ad altre cose. In particolare, nel suo Post Scriptum, Peppe approfondisce le ragioni della sua scelta, e solleva a contorno questioni interessanti, che vanno dal come si sta in rete oggi:
Non si collezionano più a parte e in un posto speciale i pezzi lunghi del tuo discorso in rete ma entrano con tutto il resto in una dimensione sociale (...) Il nodo della rete è ora una persona e non più il suo prodotto, la sua opera.
... a come sono evoluti (o involuti) i blog, e i blog scientifici in particolare:
(ne)i blog di scienza, (...) c'è smobilitazione e non trasformazione.
I due fenomeni sono naturalmente correlati, come il buon Peppe giustamente sottolinea, e la cosa ha (e avrà) delle conseguenze:
Se c'è un'area che ancora arranca è questa (quella dei blog scientifici), e il moltiplicarsi degli strumenti di condivisione usa e getta darà forse il colpo di grazia a certe fragili ambizioni.
Il pezzo di Peppe rimbalza immediatamente in rete, generando, proprio come ci si aspetterebbe, discussioni sui social, in particole Twitter. Ad un certo punto Gianluigi Filippelli tenta una sintesi della chiacchierata, anche se, secondo me, tira le sue conclusioni un po' troppo presto (per esempio, prima che il bradipo sottoscritto abbia avuto la prontezza di reagire!), e concentrandosi sulla buccia della questione (la fantomatica morte dei blog, più o meno scientifici; la difficoltà di inseguire la discussione lontano dai commenti dei blog, sui social per esempio). Siccome a me questa esegesi del problema non soddisfa(va) per niente, con i miei tempi biblici ho buttato giù un paio di riflessioni, dopo avere (invano) provato a comunicarle in una raffica convulsa di cinguettii.
Primo. La questione "tecnica" è una scusa. Concentrarsi su come far confluire la discussione dai social verso i blog e viceversa mi sembra un segno di miopia, non parliamo poi se è del puro aspetto tecnico che ci preoccupiamo (sarà meglio Discus o IntenseDebate per i commenti? Bof...). Rassegniamoci: i social sono il modo principale di accesso alla rete dalla maggior parte dell'utenza, e monetizzano la loro facilità d'uso instigando gli utenti a vivere all'interno di recinti chiusi, e a godersi una partecipazione alla conversazione semplificata, a base di "like", "+1" e condivisioni che deresponsabilizza soddisfando allo stesso tempo. Come (aspiranti) comunicatori bisogna farsene una ragione, e al limite imparare a usarli. La cosa richiede naturalmente uno sforzo e un'attenzione maggiore, faticosa e multiforme, ma probabilmente permette (in potenza) di raggiungere molte più persone. Ergo, se lo scopo è raggiungere un pubblico (e non aspettarsi che arrivi da solo) e impegnarsi in una conversazione (giocoforza asimmetrica, per le posizioni e il mezzo!), basta lagnarsi, e al lavoro. Ma il problema - e la conversazione su Twitter lo evidenziava bene - è capire proprio quale sia lo scopo del nostro stare (o non stare, o starci in un modo specifico) in rete, e quale sia il progetto che sostiene il nostro scrivere.
Secondo. A cosa serve un blog scientifico? A un certo punto dello scambio, chiedevo a Gianluigi:
Ma @ulaulaman, torniamo al punto di partenza: a che serve un network di blog? A chi parla? Perché? @peppeliberti @Luke2375 @glipari
— Marco Delmastro (@marcodelmastro) July 5, 2013
E la risposta non mi è sembrata per niente convincente:
@marcodelmastro Parla a chi vuole ascoltare o a coloro che il blogger vuole raggiungere @peppeliberti @Luke2375 @glipari
— Gianluigi Filippelli (@ulaulaman) July 5, 2013
Nella sparpagliata comunità dei blog "scientifici" che mi sembra sia cresciuta un'autoreferenzialità pericolosa. Scriveva qualcuno su FriendFeed, in un'altra di quelle discussioni alle quali sarebbe interessante partecipare, un commento sagace che mi sembra inquadri bene l'evoluzione velleitaria dei blog scientifici:
"Vorrei fare divulgazione scientifica" is the new "non capisco perché non mi paghino per scrivere cazzate sul mio blog"
Passato il momento di grazia in cui scrivi un po' di tutto, in base a che ti passa per la testa e quello che ti interessa, hai riflettuto sul pubblico a cui vuol parlare col tuo sito? Con quale voce? Con quali strumenti? E, soprattutto, con quali obiettivi? Pretendere che esista un pubblico generico che voglia ascoltarci pontificare e chiacchierare di quello che ci piace mi sembra arrogante, specie quando si spera allo stesso tempo che il nostro sito esca dall'iniziale ambito hobbistico e familiare, e diventi magari un progetto (o un incubatore di progetti) più serio.
La "federazione di blog", poi, mi sembra qualcosa che ha abbondantemente fatto il suo tempo (il declino risalale al caso della Pepsi Cola su ScienceBlogs), e non solo in ambito scientifico. Dunque, e lo dico senza pensare a nessuno in particolare, a me il fatto che, come dice Peppe, "il moltiplicarsi degli strumenti di condivisione usa e getta darà forse il colpo di grazia a certe fragili ambizioni" sembra un bene, perché nel tempo è apparsa in giro tanto roba non proprio di qualità, per la quale non mi pare un grosso problema un destino di sparizione o irrilevanza.
Terzo. C'è spazio per qualcosa di nuovo? Peppe chiosava:
A meno che dall'insopportabile rumore di fondo che per il momento ci travolge non spunti fuori qualcosa, un'idea, un'iniziativa, che ridia senso al ragionare profondo.
Secondo me gli spazi ci sono, e i mezzi pure. Al limite, mancano leadership e chiarezza di intenti, e soprattutto il coraggio di abbandonare lo strumento "blog" come l'unico interessante e possibile. Per dire, Amedeo Balbi, che pure ha un blog molto bello, ci scrive veramente saltuariamente; nel compenso ha scritto tre libri, ha sceneggiato un fumetto e (mi dicono) bazzica persino in tv. D'accordo, lui è speciale, ma mi sembra comunque un buon esempio di come si possano realizzare cose grandi, certo se si è bravi, ma anche se si ha il coraggio di progettare un po' fuori della proprio zona di confort. Quando sono stato a TEDx sul Lago di Como l'anno scorso, ho conosciuto Francesca Cavallo, che, con una sparuta compagnia di persone, ha messo in piedi un magazine digitale per bambini molto bello. Da allora, io continuo a ripetermi che, se e quando terminerò questo benedetto libro che fatico a finire per mille ragioni, a me piacerebbe lanciarmi in qualcosa del genere, che sposi didattica della scienza per bambini, digitale, e storytelling, un po' sulla scia di quello che faccio per DafDaf. Chissà.
Il punto è che i blog sono, forse, un punto di partenza, non certo la tappa d'arrivo. E che servono idea, progetti chiari, e (probabilmente soprattutto) spirito imprenditoriale. Fine della tirata.
Moreno dice
Hai sollevato un punto importante, quello del "perché" scriviamo un blog scientifico. A seconda delle motivazioni e del pubblico di riferimento, si può scegliere uno strumento piuttosto che un altro, ma prima di tutto dobbiamo capire cosa vogliamo ottenere. Si può scrivere per soddisfazione personale, e per imparare a fare qualcosa di nuovo. Si può usare il blog come vetrina per poi lanciarsi nel settore della comunicazione scientifica, sperando di farci dei soldi. Si può scrivere per avvicinare le persone alla scienza, perché pensiamo che possano trovarla divertente o utile per le loro vite. Spesso si scrive un po' per tutte queste ragioni, ma forse, come giustamente fai notare, il blog non può essere il punto di arrivo. A meno che l'unica motivazione non sia quella della soddisfazione personale, in quel caso il blog è probabilmente sufficiente. Ma se vuoi raggiungere un pubblico ampio, devi andartelo a cercare dove c'è: sui social, in TV. Se invece vuoi farlo diventare un mestiere allora forse dovresti scrivere un libro, fare qualcosa di più strutturato, cercare collaborazioni con riviste e giornali. Il blog ti apre diverse strade, sta a te scegliere dove andare, ma non ti puoi fermare lì. Almeno non in un mondo come quello attuale, dove gli strumenti di comunicazione si evolvono così velocemente.
Fabio dice
E ora uno che fa? Ti risponde qui giustificando l'abbandono dei blog o ti risponde sul blog giustificando l'accanimento terapeutico? Il mio blog giace, nonostante le modifiche degli ultimi due anni, ormai semi-abbandonato; e l'idea è di abbandonarlo definitivamente. Perché? Perché nel campo della narrativa i blog li si usa principalmente per tre motivi: (uno) diffondere narrazioni che non trovano spazio nel mercato editoriale, (due) fare critica o opinionismo (spesso nella versione "pseudo-" di entrambi) e (tre) per incollarci i propri articoli apparsi sui giornali. Io non rientro nella categoria uno perché i miei progetti narrativi solitamente trovano spazio nel mercato editoriale e perché non mi piace disperdere il seme attraverso micro-narrazioni da blog; non rientro nella categoria due perché non mi interessa (o meglio: mi interessa leggere critiche e opinioni quando conosco chi scrive, di certo non sono interessato a scriverne); per un po' sono rientrato nella categoria tre, ma anche quella ho capito che non mi appartiene granché (rima): non sono un giornalista, non voglio esserlo, e quindi avrò sempre pochissima roba da diffondere.
Marco dice
@Fabio, io rispondo qui e poi magari copio-e-incollo su FB 🙂
I blog letterari sono ovviamente una cosa ben diversa da quelli "scientifici", e tu di mestiere fai lo scrittore, per cui capisco bene nel tuo caso la scelta di allontanarsi dallo strumento. In sostanza, mi stai dando ragione 🙂 : il blog ha assolto a un certo punto un ruolo e uno scopo specifico, e adesso i tuoi progetti sono altrove. Detto questo, ci sono casi di scrittori (cito a caso: Sandrone Dazieri, Licia Troisi) che usano il blog in modo ancora diverso dalle 3 modalità che descrivi, e a cui penso una presenza in rete faccia bene. Insomma, a ognuno il suo.
Ma in ogni caso, ti prego, non chiudere fabiogeda.it (e soprattutto non abbandonare il dominio, che recuperarlo poi sarebbe un delirio: al limite te lo compro io!), che ne sai di a che cosa potrebbe servirti nel futuro? Magari dopo l'ottavo romanzo ti stufi, e ti gira di fare un reportage di viaggio, oppure ti metti a sceneggiare per il teatro e ti gira di raccontare in parallelo l'esperienza.
matteodrs dice
Partiamo dal presupposto che probabilmente Rangle è stato chiuso perché l'autore non ha più tempo da dedicare. Non credo alla storia che i blog scientifici sono morti e che tutto è passato sui social. Come strumento di comunicazione scientifica i blog hanno ancora ragione di esistere. I social sono troppo veloci e come tu hai accennato per starci dietro e avere un giusto riscontro è necessario avere molto ma molto tempo da dedicare. I blog sono più ragionati e i contenuti restano lì a peritura memoria.
Ottimo post! E buono spunto di riflessione. Se fosse stato su un social probabilmente non l'avrei trovato.
Concludo con l'idea che lo strumento va scelto in base al target a cui dobbiamo comunicare.
Paolo Amoroso dice
Non so se i blog e gli strumenti di blogging stiano scomparendo. Ma il blogging, inteso come forma di comunicazione, è vivo, attuale e promettente.
Il blogging di oggi è uscito dai tradizionali confini delle piattaforme di pubblicazione come WordPress e Blogger e si serve degli strumenti dei social network, adattandosi alle nuove piattaforme e offrendo opportunità di cui forse non ci si rende ancora pienamente conto.
peppe dice
Però, scusate, nessuno ha scritto che i blog son morti o stanno scomparendo, non è così altrimenti non ci capiamo. Il blog è, ancora e per fortuna, uno strumento “opportunamente improprio” che assume molte forme diverse che dipendono dalle qualità e dalle capacità di chi lo gestisce e dal fine che si propone. Però non è più al centro dell'umana digitale comunicazione, affianca altri modi di esprimersi, molti che son meno "ragionati", se posso dire. Non so se vi ricordate ma un po' di tempo fa, neanche tanto, era di moda costruire le mappe di tutto, una di queste era la mappa in cui blog erano i nodi di una rete, adesso una cosa del genere ha meno senso, quei nodi sono persone e i collegamenti non sono più solo backlinks. Da questo punto di vista, tolto il tempo perso sui social (ma anche quello guadagnato se si curarno i rapporti con le persone giuste), forse ci abbiamo guadagnato. Per me, per dire, Borborigmi non è più un punto di riferimento in rete, lo è Marco Delmastro di cui Borborigmi è un "pezzetto".
Sui blog di scienza una precisazione: la cosa che mi da enormemente fastidio è la scrittura stile New Scientist quando va bene o la scopiazzatura delle robe di New Scientist o Phys Org o di chi vi pare, quando va male. Se uno deve perdere tempo è meglio che lo faccia per cercare uno stile personale e non per apparire l'alternativa (fasulla) a robe consolidate (buone o cattive che siano).
Marco dice
@Peppe: tu non lo hai scritto e io non l'ho rimbalzato, ma in molti commenti su Twitter e altrove al suo pezzo molti non ci sono andati lontani, fraintendendo il tuo spirito iniziale (che riassumi bene qui), e semplificando al limite del lecito.
Sulle mappe hai stra-ragione (e ancora meglio che per le mappe, sono scomparse le classifiche -- ti ricordi il periodo in cui Wikio ti mandava le anteprime in esclusiva per dirti che eri in testa?): la nostra presenza in rete (e, per fortuna, nel mondo reale) è multiforme in modo positivo. Chi resta attaccato in modo geloso e esclusivo alla sola dimensione "blog" è probabilmente chi si lagna.
Infine, sullo stile: è proprio quello che intendevo quando chiedevo retoricamente con quale voce vogliamo parlare. Alcune esperienze li fuori hanno scelto di scimmiottare malamente le modalità altri, senza rendersi conto che il risultato è spesso ridicolo. Ma trovare la propria voce, si sa, richiede tempo, e non e un viaggio che finisce.
Poi resta la questione (direi il problema) dei recinti chiusi e della monetizzazione delle persone (io continuo a scrivere qui anche perché voglio restare padrone di questo spazio), ma richiederebbe un post a parte.
Gaetano dice
Marco,
vorrei sottoporre la mia impressione (che potrebbe anche essere una spiegazione al quesito).
Si apettavano tutti molto di più a livello impatto comunicativo da LHC e questa delusione ha incosciamente ridotto le attese su possibili novità a qualsiasi livello.
Marco dice
Mmm, non so. Io, che sono parte in causa "diretta", ho guadagnato parecchio dalla visibilità mediatica di LHC, ma non mi aspettavo certo che restasse ai livelli dell'estate 2012 all'infinito. Al limite dunque il problema è: come si capitalizza (o si sarebbe potuto capitalizzare, se non lo si è fatto) da quell'esposizione mediatica?
Gaetano dice
Era giusto chiedere a te proprio perchè sei parte in causa!
La Randall è rimasta delusa perchè le stringhe non si sono fatte vedere, il bosone di Higgs ha lasciato molto dubbi (mi pare anche a te?):-)
My_May dice
Ci sono sempre momenti di fermo apparente. E in questi momenti ognuno gestisce il proprio tempo libero (più o meno lungo a seconda degli impegni) guardandosi attorno e approdando a nuove mete. Io non perdo di vista mai questo blog... anche se anch'io mi sono affacciato un po' a vedere come funziona Twitter o cosa si scrive e come lo si fa su fb.
Sono sicuramente utili, ma non necessariamente indispensabili e hanno molti difetti che possono cambiare in peggio sia il linguaggio (twitter è bestiale da questo punto di vista) che i contenuti.
Per via del fermo comunque mi è venuta una voglia irresistibile di scrivere un romanzo, proprio io che non sono uno scrittore e che quando facevo i temi al liceo riempivo solo la prima pagina 😀
Però mi è venuta un'idea. So da dove partire e dove arrivare. Ho anche creato un personaggio che di nome e cognome fa Marco Delmastro (non ti preoccupare Marco tanto è quasi impossibile che il romanzo veda la fine, comunque se dovesse succedere cambio nome e ti mando una copia:D), il difficile è costruire una trama (ma è quanto meno divertente). Chiaramente vorrebbe diventare un romanzo di fantascienza... pur partendo dai fatti politici ed economici di questo tempo (persino con i veri protagonisti di oggi). Nasce però da un desiderio molto umano, credo. Il desiderio di eternità. E non dico piu nulla 🙂
Lunga vita al blog di Marco:)