A inizio agosto abbiamo passato due settimane a Pantelleria, sotto la Sicilia, più vicina all'Africa che all'Italia. Tra gli scogli e il maestrale abbiamo dormito, nuotato e camminato, io ho fatto qualche foto, e letto molto. Tra i tanti libri, ho sorseggiato con piacere "Pantelleria. L'ultima isola", di Giosuè Calaciura, pubblicato da Laterza nella primavera del 2016, perfetto compagno di questo naufragio estivo. Ne ritaglio qualche pezzo qui, insieme a qualche tentativo di collage panoramico dei miei scatti. Le versioni ad alta definizione sono su Flickr.
L’isola è una scrittura, agitata di inchiostro magmatico raggelato in pantelleriti e cossiriti, chimica minerale del vulcano che è anche un prontuario di geologia universitaria. È una calligrafia nervosa di liquidi e di venti, svolazzi di amanuensi nei riccioli aguzzi di lava, smorfie cementate per sempre in un brivido di vapore al contatto del mare, bestiario di animali e incubi di pietra che hanno fatto la guardia per tutto il perimetro dell’isola mostrando bocche spalancate e denti aguzzi, neri, taglienti di ossidiana.
Qui non ci sono spiagge. Il mare tra l’isola madre e Pantelleria con mezze parole, sicilianamente, fa intuire che è capace di furie oceaniche perché sta a guardia di due continenti e ha consumato e consuma avventure dello stesso respiro.
Pantelleria è defilata nella rotta maestra dei migranti che partono dalle spiagge della Libia. Lampedusa è l’approdo. Ma anche a Pantelleria ne arrivano, piccole barche col motore ausiliario, esterno, di poppa. Piccolo cabotaggio per brevi traversate. Arrivano dalla Tunisia e vengono rimpatriati. E ci riprovano, due, tre volte: fortissimo desiderio d’Europa che non sa consolare gli afflitti.
Ogni chilo di Zibibbo (...) è lavoro durissimo, manuale e intellettuale, (...) è fatica sudata, battaglia non sempre vinta contro la Natura ostile e pazza di questo sputo di lava e di ossidiana nel cuore del Mediterraneo in vista dei deserti d’Africa, nemica dei contadini e delle pratiche agricole che hanno trovato soluzioni complesse, a volte geniali, contro i venti e la siccità endemica come una malattia, una tara, che pietra su pietra hanno strappato terra al vulcano per farne orti, garche ordinate di filari, e nello stesso tempo muri a secco, dammusi, “giardini” d’agrumi.
GIGI dice
Ciao Marco,
ora sei in vacanza da qualche altra parte o sei già allo sgobbo?
In questo caso perché non ci aggiorni sulla situazione degli esperimenti?
P.S: Che software usi per assemblare le foto nelle panoramiche?
Marco dice
Sono ancora più o meno in vacanza, riprendo a lavorare per davvero da lunedì. L'aggiornamento arriva, nei prossimi giorni. Per incollare le foto uso pedestremente lo script photomerge di Photoshop.