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Quello che sappiamo del bosone di Higgs: la massa dei bosoni vettori nella quarta riga della lagrangiana, e il bosone di Higgs

19 Settembre 2019 8 commenti

Dopo l'intermezzo dedicato a spiegare come si interpretano i diagrammi di Feynman, riprendiamo la discussione dei termini della Lagrangiana del Modello Standard, della quale abbiamo già discusso le prime due righe.

Vi ricordate? Siamo partiti dicendo che la lagrangiana del Modello Standard sarebbe l'equazione che "riassume elegantemente la nostra conoscenza del mondo delle particelle elementari e delle loro interazioni fondamentali", e ci siamo imbarcati in un viaggio per capire cosa possa dire la parola "conoscenza" in questo contesto. Al termine della puntata precedente avevamo concluso che:

Per queste prime due righe della lagrangiana del Modello Standard, possiamo dunque parlare di "conoscenza" nel suo senso più completo. Si tratta del condensato di quella fisica che per certi versi inizia con la stesse equazioni di Maxwell nel 1880, e la cui struttura e proprietà abbiamo testato e misurato con altissima precisione nel corso di tutto il novecento. Che dire invece delle altre due righe?

Riprendiamo dunque da dove ci siamo lasciati. Ci occuperemo adesso della prima parte della quarta riga, quella evidenziata qui sotto:

Iniziamo col notare che dentro al termine |D_\mu \phi |^2 compare una componente che abbiamo già incontrato due puntate fa, il termine D_\mu. Riprendendo da quell'articolo:

(D_\mu) è quella che in gergo si chiama derivata covariante, una versione sofisticata della derivata che magari ricordate dalle superiori, che ha però altre proprietà interessanti, tra cui quella di mantenere le proprietà di simmetria dell'oggetto a cui viene applicata:

D_\mu = \partial_\mu -i g A_\mu

Dentro al termine {\not} D è dunque nascosto il campo dell'interazione in questione A_\mu  (per esempio il campo elettromagnetico), mentre g è quella che chiamiamo costante di accoppiamento dell'interazione, un numero che definisce quanto intensamente agisce la forza in questione.

Abbiamo dunque una termine della lagrangiana che racconta come i campi responsabili delle interazioni descritte nelle prime due righe interagiscono con un nuovo elemento, rappresentato dal simbolo \phi. Che cos'è dunque \phi?

Prima di addentrarci nei dettagli, permettetemi di ricordarvi una storia che ho già raccontato altrove in forma diversa. Le interazioni di cui parlano le prime due righe della lagrangiana, e in particolare l'interazione elettromagnetica e quella nucleare debole, avvengono con lo scambio di particelle messaggere, il fotone nel caso dell'interazione elettromagnetica e i bosoni W e Z per l'interazione nucleare debole (ci sono anche i gluoni per l'interazione nucleare forte, ma per il momento li lasceremo da parte). Queste particelle messaggere appaiono nelle prime due righe della lagrangiana come particelle prive di massa, cosa che comporta che l'interazione corrispondente abbia un raggio di azione infinito. La cosa va benissimo per l'interazione elettromagnetica, che ha in effetti un raggio d'azione infinito, e il cui bosone mediatore, il fotone, non ha una massa. Le cose vanno meno bene per l'interazione nucleare debole, della quale sappiamo invece che ha un breve raggio d'azione, e i cui bosoni mediatori, le particelle W e Z, hanno una massa considerevole, rispettivamente circa 80 e circa 90 volte la massa di un protone. Queste caratteristiche sono anche note come asimmetria elettrodebole: l'interazione elettromagnetica e quella nucleare debole sembrerebbero infatti perfettamente simmetriche - tanto da potersi immaginare come due facce della stessa medaglia, due manifestazioni della stessa interazione - salvo però comportarsi nella realtà in modo profondamente diverso, a causa della massa dei loro rispettivi bosoni mediatori.

Potremmo essere tentati di risolvere questo problema - il fatto che il fotone sia privo di massa, e che invece i bosoni W e Z ne abbiano una - aggiungendo alla lagrangiana un termine che ne tenga esplicitamente conto. Questa soluzione, però, non funziona: l'introduzione di quello che i fisici chiamano un "termine di massa" rovina infatti irrimediabilmente il funzionamento dell'equazione. Senza entrare nel dettaglio, diciamo semplicemente che in quella configurazione la lagrangiana si comporebbe diversamente a seconda di come uno la guarda, in un certo senso a seconda del sistema di riferimento e di misura usato per verificare e mettere in azione l'equazione. La natura, però, se ne infischia delle nostre misure e dei nostri sistemi di riferimento, e produce fenomeni che ne sono indipendenti: un termine di massa è dunque la soluzione sbagliata al problema.

Il resto della storia lo conoscete: nel 1964 Peter Higgs e una altro gruppetto di fisici prova a risolvere il problema dell'asimmetria elettrodebole in modo "dinamico", ovvero immaginando che i mediatori dell'interazione elettromagnetica e di quella nucleare debole siano originariamente privi di massa e che le interazioni siano effettivamente simmetriche, ma che si differenzino in modo spontaneo a causa dell'interazione con un altro elemento. Questo meccanismo, noto come meccanismo di Brout-Englert-Higgs, prevede l'esistenza di un campo, qualcosa che potete pensare come una manifestazione nello spazio-tempo di una proprietà dell'universo in cui ci troviamo a vivere, campo con cui i bosoni mediatori delle interazioni interagiscono. Quando qualche anno fa cercavo di spiegare questo fenomeno al mio cane Oliver, avevo paragonato questo campo a una sorta di melassa cosmica: se vi può aiutare, andate a rileggervi quel vecchio articolo.

Il campo in questione, che chiamiamo "campo di Higgs", è rappresentato nella lagrangiana dal simbolo \phi. Il termine |D_\mu \phi |^2 descrive dunque il meccanismo di rottura spontanea della simmetria elettrodebole, che differenzia il fotone dai bosoni W e Z dando a questi ultimi una massa, senza disturbare il buon funzionamento del resto dell'equazione. Il meccanismo di BEH prevede come effetto collaterale della rottura della simmetria elettrodebole l'esistenza di una nuova particella. Riuscite a indovinare quale sia? Ovviamente il bosone di Higgs! Il termine della lagrangiana che discutiamo oggi è dunque quello che da una parte spiega la massa dei bosoni W e Z, dall'altra giustifica la differenza di comportamento tra interazione elettromagnetica e nucleare debole, di fatto permettendo di considerarle come aspetti di un'unica interazione detta elettrodebole, e infine prevede l'esistenza del bosone di Higgs.

Alla nostra tavolozza di interazioni possibili, quelle descritte dai diagrammi di Feynman che trovate al fondo di questo articolo, possiamo dunque aggiungere queste interazioni:

Questi diagrammi sono responsabili tra le altre cose di uno dei modi con cui un bosone di Higgs può essere generato nella collisione tra due protoni a LHC, la fusione di bosoni vettori (Vector Boson Fusion) emessi dai quark dentro ai protoni al momento della collisione. Sebbene non si tratti del modo di produzione più probabile (torneremo su questo aspetto più avanti), può darvi un'idea di come un bosone di Higgs possa essere creato in laboratorio:

Meglio ancora, quei diagrammi sono responsabili di alcuni dei modi di decadimento del bosone di Higgs che sono stati essenziali per la sua scoperta, H\to ZZ^* e H\to WW^*. Ecco cosa può succedere nel primo caso, tenendo in conto che anche il bosone Z non è una particella stabile, e decade dunque a sua volta in coppie fermione-antifermione, per esempio così:

Quello descritto dal diagramma qui sopra è un processo che lascia queste tracce nei nostri rivelatori:

I depositi di energia verdi associato a una traccia centrale anch'essa verde sono il segno del passaggio degli elettroni, le due lunghe tracce rosse quello del passaggio dei muoni. Tutte e quattro le particelle vengono dallo stesso punto di interazione, dove presumibilmente potrebbe essere stato prodotto e poi potrebbe essere decaduto un bosone di Higgs.

Per realizzare il grafico che vedete qui sopra abbiamo preso tutte le collisioni in cui dentro al rivelatore ATLAS sono stati riconosciuti quattro muoni, quattro elettroni o due muoni e due elettroni, e per ognuno degli eventi abbiamo calcolato quale sarebbe stata la massa della particella "madre" da cui queste quattro particelle sarebbero potute venire se fossero state generate nel decadimento di una particella originale: Vedete quell'eccesso di eventi che si accumula intorno a 125 volte la massa di un protone? Quello è il segno dell'esistenza del bosone di Higgs, una della tracce che ci hanno permesso di dichiararne la scoperta nel 2012!

Il primo componente della quarta riga della lagrangiana del Modello Standard, dunque, può essere anch'esso ormai classificato sotto la categoria della "conoscenza". Con le misure che abbiamo fatto sul bosone di Higgs a partire dalla sua scoperta nel 2012, possiamo infatti dire che la nuova particella scoperta assomiglia proprio a quella predetta da Higgs e compagni nel 1964, e associata al meccanismo responsabile della rottura spontanea della simmetria elettrodebole. È una conoscenza ancora meno precisa di quella descritta dalle prime due righe, ma è solida e affidabile. In termini di struttura matematica, invece, siamo al confine tra il vecchio e il nuovo: da una parte si tratta di un'interazione simile a quella descritta dalla seconda riga (attraverso il termine D_\mu), la cui azione però questa volta però è rivolta a un campo \phi le cui proprietà sono peculiari, e mai osservate prima in natura. Ne riparleremo.

(continua)

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Archiviato in:Fisica Contrassegnato con: bosone di Higgs, bosoni vettori, interazione elettromagnetica, interazione nucleare debole, lagrangiana, Meccanismo BEH, modello standard, Quello che sappiamo del bosone di Higgs, rottura della simmetria elettrodebole

Interazioni del lettore

Commenti

  1. GIGI dice

    19 Settembre 2019 alle 17:09

    wow! ricominciamo a masticare hard science.

    Rispondi
  2. Daniela dice

    19 Settembre 2019 alle 19:01

    Che bellezza! Grazie davvero per le sue spiegazioni, particolarmente gradite appena dopo il ritorno dall'open day del CERN in cui ho potuto visitare tra l'altro ATLAS e CMS (anche se un pò in fretta ma meglio che niente..).
    Sono un'insegnante di matematica al liceo scientifico e non perdo occasione di portare un pò di CERN nelle mie lezioni pescando anche a piene mani dal suo blog ... dunque aspetto la prossima puntata.

    Rispondi
  3. Juhan van Juhan dice

    20 Settembre 2019 alle 09:45

    Meraviglioso! Adoro questi post che spiegano senza banalizzare ma in modo che riesco a capire anch'io.
    Solo un piccolo --come dire-- forse è da rivedere la frase che inizia con "Dentro al termine /D"; o sono io che mi serve un altro caffè?

    Rispondi
    • Marco dice

      20 Settembre 2019 alle 13:14

      Essendo una citazione da un articolo precedente, ovviamente manca un pezzo che permette di capire cosa sia il termine {\not} D. Trovi la definizione completa qui:

      https://www.borborigmi.org/2018/11/12/quello-che-sappiamo-del-bosone-di-higgs-interazioni-e-particelle-nelle-prime-due-righe-della-lagrangiana/

      ma se hai fretta sappi che {\not} D = \gamma^\mu D_\mu (e ti lascio andare a vedere da solo cosa siano le matrici di Dirac).

      Rispondi
      • Juhan van Juhan dice

        21 Settembre 2019 alle 12:40

        Grazie! sai la memoria...

        Rispondi
  4. Fabiano dice

    22 Settembre 2019 alle 08:48

    Tutto molto chiaro, Marco! Bello anche il grafico animato, da mostrare agli amici che pur non sapendo nulla di LHC sono incuriositi sui meccanismi della scoperta. Aspetto con curiosità di sapere come "coniugherai" la parola conoscenza con i termini restanti della lagrangiana.

    Rispondi
  5. GIGI dice

    9 Ottobre 2019 alle 10:53

    Mentre continuo a masticare questa serie di post, vorrei un tuo parere (del tutto fuori contesto) sull'assegnazione degli ultimi Nobel per la Fisica.
    Il mio giudizio (troppo tagliente?) è che siano stati premiati un Peebles e due pippe.
    La valutazione non riguarda il valore dei tre fisici, ma l'ambito e l'importanza del loro campo di studi.
    "Dove sono tutti quanti?" contro "Dove era Robert Dicke dal 1964 al '97? Da Stoccolma non lo trovavano? Penzias e Wilson dopo 14 anni li han pur trovati. "

    Rispondi
    • Marco dice

      10 Ottobre 2019 alle 12:41

      Non sono sicuro di comprendere il commento: stai dicendo che il comitato del Nobel ha scelto male, e altri (e.g. Dicke) avrebbero meritato di più? Se sì, non sono sicuro di potere e voler commentare: le scelte del comitato del Nobel - e per certi versi il premio stesso, con le sue dinamiche e le regole più o meno scritte su come vada fatta l'assegnazione - sono spesso imperscrutabili.

      Peraltro, sull'esempio specifico che fai, Penzias e Wilson presero il Nobel proprio per l'osservazione (persino casuale) di quello che Dicke e compagni cercavano, e che videro da sfortunati secondi. Meritava(no) di meno? Se uno dei criteri di assegnazione del premo (forse il più opinabile) è la primogenitura di una scoperta, allora temo che il comitato abbia fatto il mestiere che è chiamato a fare, ci piaccia o non ci piaccia. Temo che si potrebbe raccontare una storia simile per gli exoplaneti del premio di quest'anno (quelli osservati dai vincitori non sono esattamente parte di un sistema planetario come quello Solare, come lo sono invece osservazioni più recenti, ma se conta appunto la primogenitura, la scelta ci sta).

      Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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