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Quindici anni fa a BNL, e la porta dell'infinito

19 Febbraio 2017 12 commenti

Leggo fantascienza da sempre. Il tarlo me lo ha passato mio padre, che, quando avevo dieci o undici anni, mi portò in biblioteca a prendere Lucky Starr il vagabondo dello spazio, un romanzo di quella serie che Isaac Asimov aveva scritto pensando ai ragazzini: da lì in poi non mi sono più fermato, divorando ovviamente prima tutto il Buon Dottore, per poi scoprire che c'era molto di più della fantascienza dell'epoca d'oro, e avventurandomi ben oltre.

La fantascienza è stata anche il primo genere letterario che ho letto in lingua originale. Nel giugno del 2001 passai due settimane dalle parti di New York, al Brookhaven National Laboratory, BNL, in occasione della mia prima “ATLAS Overview Week”, il raduno annuale dell'esperimento che si tiene fuori dal CERN. All’epoca avevo iniziato il dottorato da un anno, era la mia prima volta negli Stati Uniti, e il mio primo meeting generale di quella Collaborazione in cui avrei poi vissuto la maggior parte della mia carriera professionale. Ai tempi mi pareva di parlare un inglese decente, ma in realtà ero lontanissimo dall’essere fluente. Per due settimane ho ordinato da mangiare a tentoni alla mensa di BNL con risultati spesso azzardati, e le conversazioni con gli studenti americani che pernottavano come me nelle dormroom di BNL erano una fatica atroce.

Appena sbarcato negli Stati Uniti avevo trovato il tempo di prendere d’assalto la sezione Science Fiction di un Barnes & Nobles che avevo trovato lungo la strada tra JFK  e BNL. portandomi a casa tutti i romanzi di Greg Egan che avevo trovato: Diaspora, Distress, Quarantine, la raccolta di storie brevi Axiomatic (Egan è un personaggio e uno scrittore particolare, che meriterebbe un articolo a se, ma proseguiamo...). Ne avrei divorato la maggior parte nella stanzetta della dorm di BNL, complici il jet-lag e una lunga domenica con poco da fare, con nessun mezzo di trasporto per portarmi fino a Ronkonkoma a prendere il treno per New York. Di quel week-end ricordo distintamente l'immersione totale nella fantascienza dura di Egan, perfetta per un aspirante scienziato, e che, letta in lingua originale in terra statunitense, mi sembrava persino migliore, più affilata, elegante; e il gusto orribile della Dr. Pepper’s, unica bibita rimasta nel distributore della zona comune delle dorm. Da allora non ho mai più letto nessun romanzo di fantascienza inglese se non in lingua originale, e non ho mai più assaggiato una Dr. Pepper’s. Penso che continuerò così.

Nel 2011 mi sono messo in testa di leggere tutti i romanzi di fantascienza che avessero vinto sia il premio Hugo che il premio Nebula. È un progetto che sta prendendo più tempo di quanto avessi previsto, soprattutto perché leggo molte altre cose, fantascienza inclusa, che deviano dalla lista un po’ arbitraria che mi sono scelto. Il che non vuol dire che non stia andando avanti: nel 2016 ho letto altri tre romanzi della lista, ma non ho trovato il tempo di recensirli. Devo modificare un po’ il formato delle recensioni, snellire le segnalazioni, anche perché, perlomeno questi ultimi tre erano veramente romanzi di qualità, che mi sento di consigliare a tutti, e sarebbe un peccato non parlarne.

Comincerò dunque da Gateway, in italiano La porta dell'infinito, un romanzo di Fredrich Pohl pubblicato nel 1977, vincitore ovviamente dei premi Hugo e Nebula, ma anche del Premio Campbelle e Locus, che ho letto all’inizio del 2016. Gateway è il nome di un asteroide che, da quello che gli uomini che lo hanno scoperto hanno capito, ha fatto funzione di base di partenza e arrivo per le astronavi di una misteriosa civiltà aliena, battezzata Heechee dagli scopritori e di cui si sa poco o niente. Gateway, crivellato de gallerie più o meno abitabili e riempito navette aliene e relative zone di lancio, sembra abbandonato, senza traccia alcuna degli utilizzatori originali. Intorno a Gateway si è costruita un’economia che ricorda un po’ la corsa all’oro. Nonostante l’incomprensibilità della maggior parte delle iscrizioni e dei meccanismi, gli scienziati umani sono infatti riusciti a far parzialmente funzionare alcune delle navette Heechee. “Parzialmente” nel senso che non è possibile controllarne la destinazione, e nella maggior parte dei casi le navette non rientrano alla base, o ritornano con l’equipaggio morto nei modi peggiori. Per i fortunati che riescono a sopravvivere al viaggio, però, a volte l’impresa regala una destinazione ricca, un luogo dove è possibile saccheggiare preziosi manufatti della civiltà aliena. Non c’è garanzia alcuna, però: decidere di partire è dunque una scommessa tra una remota possibilità di ricchezza e fama, e una fine orribile molto più probabile. Come sempre nella storia dell’uomo, sono spesso i più disperati a lanciarsi nell'impresa. Gateway è un romanzo deliberatamente angosciante, che sa trasmettere con maestria l’alterità e distanza incolmabile di una civiltà aliena, e la paura profondissima che accompagna chiunque scelga di scommettere la sua vita con l'uso delle navette Heechee.

Gateway ha come protagonista proprio uno di questi disperati che hanno trovato un modo per convivere con la paura, e hanno vinto la scommessa. Robinette Broadhead è in effetti tornato da più di un viaggio su una navetta Heechee, e dall'ultimo ha riportato indietro tecnologia che lo ha reso ricchissimo. Per tornare indietro, però, ha pagato un prezzo umano altissimo, di cui non voglio dire molto di più per non rovinare il finale a chi volesse leggere il libro. Basti sapere che l’evento finale è talmente sconvolgente che il protagonista, in un presente ormai lontano da Gateway e immerso nella sua nuova vita agiata, è in terapia da uno psicanalista robotico, le cui sedute si alternano al racconto della vicenda sull’asteroide.

Gateway è un esempio riuscitissimo dell’affresco di un mondo alieno, che a Pohl riesce persino meglio grazie all’espediente di costellare il testo di dettagli “a margine”. A intervallare il testo del romanzo appaiono volantini presi dalle bacheche di Gateway, listati di programmi di computer, rapporti di missione, stralci di notiziari della stazione spaziale: sono tutti elementi slegati dalla trama principale, ma che contribuiscono a fare di Gateway un luogo reale, e se possibile ancora più angosciante di quanto non fuoriesca dal racconto.

Ci sono aspetti del romanzo che ho trovato un po’ datati. L’uso delle droghe, per esempio, o l’insistenza su una certa promiscuità sessuale, mi sono sembrati un po’ troppo figli del tempo in cui il romanzo è stato scritto, e mi pare aggiungano poco allo dipinto della vita soffocante sull’asteroide alieno. Nonostante questo, globalmente mi pare che il romanzo sia invecchiato abbastanza bene.

Gateway è il primo romanzo di una saga che orbita intorno all’impero Heechee. Essendo l’unico che ho letto, non so dire se valga la pena approfondire con i seguiti. Per esperienza, so che a volte proprio il mistero e il non detto rendono più credibile le invenzioni della fantascienza. Gateway, però, vale certamente la pena.

Essendo Gateway un libro un po' vecchiotto (ha quarant'anni proprio quest'anno), non è semplicissimo da reperire. In Italia è stato pubblicato dall'Editrice Nord nella famosa serie Oro dei Classici della fantascienza, e lo si può trovare usato o in biblioteca. Altrimenti l'opzione di leggerlo in lingua originale resta sempre valida.

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Archiviato in:Letture e riflessioni Contrassegnato con: fantascienza, Frederik Pohl, Gateway, Greg Egan, Isaac Asimov, La porta dell'infinito, Progetto Hugo+Nebula

Interazioni del lettore

Commenti

  1. SR-71 dice

    19 Febbraio 2017 alle 10:15

    Ottima recensione , potresti fare il critico 🙂
    Ho letto il romanzo in italiano molti anni fa, appena pubblicato dalla Nord, e devo dire che mi aveva favorevolmente impressionato, specialmente la trovata di inserire dei documenti "d'epoca" in mezzo alla narrazione, che conferiva al tutto un senso di veridicità introvabile altrove.

    Rispondi
  2. mario gualtieri dice

    20 Febbraio 2017 alle 07:57

    Grazie! Aspetto le altre (spero molte) recensioni ... Mario

    Rispondi
  3. florian dice

    20 Febbraio 2017 alle 09:50

    Che coincidenza, sto leggendo tutta la saga proprio in queste settimane!
    Sono oramai arrivato al quarto e penultimo libro, l'unico finora che sto affrontando con più lentezza del solito, forse perché avendoli letti uno dietro l'altro e senza soluzione di continuità, la tematica comincia a stancarmi. Ma francamente, al di là di questo effetto collaterale da "maratona", non indugiare e procedi fino in fondo.
    Dopo aver letto anche Uomo più, considero Pohl un maestro nell'innestare idee narrative brillanti, fantastiche e mai noiose, sulle sue sempre precise conoscenze di fisica. La saga degli Heechee conferma la sua capacità di porre dei personaggi in situazioni disperate, per poi salvarli con idee che non solo deludono raramente, ma ampliano la portata e la coerenza della sua creazione letteraria.
    Concludo segnalando che in qualche punto la saga mi ha ricordato Babylon 5. E ho detto tutto.

    Rispondi
  4. Antonio dice

    20 Febbraio 2017 alle 11:14

    E invece io non riesco proprio ad appassionarmi al genere. Ci ho provato in tutti i modi, ma proprio non riesco a farmi prendere, ne libri ne ancor meno film. Eppure ne riconosco il valore e in alcuni casi la genialità.

    Sarò strano?

    Rispondi
    • Marco dice

      20 Febbraio 2017 alle 18:06

      @Antonio: non credo, conosco molta più gente che *non* apprezza la fantascienza che gente che l'apprezza, penso dunque che tu sia in buona compagnia. Detto questo, tieni anche conto che esiste in giro tanta fantascienza di cattiva qualità, tirata giù, superficiale e facilona (specialmente in formato cinematografico). Magari hai solo ingoiato bocconi indigesti?

      Rispondi
  5. Antonio dice

    21 Febbraio 2017 alle 20:21

    Molto probabile Marco.
    Facciamo una prova, dammi un titolo a tuo piacimento che secondo te possa farmi cambiare idea. Sarò felice di ricredermi.

    Rispondi
    • Marco dice

      22 Febbraio 2017 alle 13:33

      @Antonio: temo di conoscerti troppo poco per poterti dare un suggerimento mirato (per quello che vale, le mie recensioni entusiaste potrebbero essere un punto di partenza, però senza venire incontro a tue particolari passioni o idiosincrasie)

      Rispondi
  6. Carlo dice

    22 Febbraio 2017 alle 13:12

    Condivido le tue opinioni: uno dei migliori romanzi di fantascienza che mi siano passati fra le mani recentemente.

    Rispondi
  7. Andrea dice

    22 Febbraio 2017 alle 18:52

    Grazie Marco per aver ripreso la serie sulle recensioni come ti avevo richiesto in un commento di qualche post fa (penso fosse quello di inizio anno).
    Avevo letto Ender's Game, tra quelli appartenenti alla lista ma non mi ha appassionato: forse sarebbe bene continuare nella saga?
    Comunque proverò anche con questo. Grazie ancora, un saluto.

    P.S. Se vuoi mantenere tutte le paginette del blog in ordine ti consiglio di aggiornare quella della lista con la scritta [letto!] accanto a Gateway.

    Rispondi
    • Marco dice

      23 Febbraio 2017 alle 09:30

      @Andrea: ho sistemato la lista del 2011, aggiungendo anche i nuovi titoli da tenere in conto. Per la cronaca, gli altri du che ho già letto nel 2016 sono Ancillay Justice e Doomsday Book, entrambi veramente molto belli e che cercherò di recensire a breve.

      Rispondi

Trackback

  1. Un progetto di lettura per il 2011: tutti i romanzi che hanno vinto i premi Hugo e Nebula | ha detto:
    23 Febbraio 2017 alle 09:26

    […] 1978/1977: Gateway di Frederik Pohl (320 pagine) [letto!] […]

    Rispondi
  2. Doomsday Book, l’anno del contagio | ha detto:
    9 Marzo 2017 alle 10:57

    […] secondo romanzo di fantascienza, vincitore sia del premio Hugo che del premio Nebula e che ho letto nel 2016, è The Doomsday Book di Connie Willis. Pubblicato nel 1992, e tradotto nel 1996 in italiano come […]

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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