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Come si rivela il passaggio di un neutrino?

17 Novembre 2011 18 commenti

Come promesso, dopo avervi raccontato come si produce un fascio di neutrini, proverò a spiegarvi come si fa a rivelarne il passaggio. La cosa di per sé non è banale, perché i neutrini per definizione interagiscono molto poco, praticamente niente, e siccome farli interagire con qualcosa è il solo modo per vederne il passaggio, le cose si fanno in fretta complicate. D'altra parte, siccome non c'è nulla da fare per aumentare le probabilità che un neutrino interagisca con la materia che compone il vostro rivelatore, al limite lo sforzo da fare sarà quello di rendere l'ambiente intorno al rivelatore sufficientemente silenzioso rispetto ad altri tipi di interazioni, per evitare di perdersi nel rumore quelle poche dovute ai neutrini che avranno luogo. Su questo aspetto torneremo tra un po': prima ci serve sapere, per quel quel poco che fanno, come interagiscono i neutrini con la materia che attraversano.

I neutrini - per quanto ne sappiamo oggi - dialogano con il mondo esclusivamente attraverso l'interazione debole, che è la forza responsabile di un certo tipo di radioattività (decadimenti beta), e che si propaga attraverso lo scambio di bosoni Z e W. I neutrini hanno dunque sostanzialmente solo due modi per interagire con la materia che li circonda.

La prima modalità di interazione è quella che in gergo di chiama una "corrente neutra", ovvero lo scambio di un bosone Z, che è appunto elettricamente neutro. Il neutrino trasferisce un po' della sua energia, per esempio a un elettrone o a un quark di un nucleo della materia che attraversa, senza mutare le sue proprietà (resta un neutrino) e quelle della particella con cui ha interagito (resta un elettrone, o lo stesso tipo di quark).

In questo caso il neutrino resterà dunque invisibile, e la sola speranza è che abbia trasferito abbastanza energia all'altra particella con cui ha interagito, tanto da produrre un segnale visibile. Potrebbe per esempio scalzare un elettrone da un atomo, e potremmo cercare di vedere questo elettrone apparire dal nulla nel rivelatore. Oppure, persino meglio, nel caso abbia interagito con un quark di un protone o un neutrone di un nucleo atomico, potrebbe spezzare il nucleone in questione e persino tutto il nucleo, dando luogo a una cascata protoni, neutroni e altri adroni.

L'altra modalità di interazione è quella che in gergo si chiama una "corrente carica", ovvero lo cambio di un bosone W, che ha invece carica elettrica. In questo caso, oltre a trasferire una parte della sua energia alla particella con qui interagisce, il neutrino muta nel leptone che gli corrisponde: per esempio, se è un antineutrino elettronico, al suo posto si ritrova un elettrone, se è un neutrino muonico un antimuone. E anche la particella con cui ha interagito cambia tipo: per esempio, un quark di uno dei costituenti di uno dei nuclei del materiale attraversato si trasforma da down in up (o viceversa, a seconda che inizialmente si abbia un neutrino o un antineutrino), mutando in qualche modo le proprietà di quel particolare nucleone.

Ecco dunque i due scenari possibili: il nostro neutrino trasferisce energia al materiale di cui è fatto il rivelatore e scappa via senza farsi vedere, ma noi vediamo una cascatella di adroni dal nucleo che conteneva i quark con cui ha interagito; oppure vediamo apparire dal nulla un leptone (un elettrone, un muone o tau, a seconda del tipo di neutrino, o le loro antiparticelle), e allo stesso tempo in prossimità potremmo anche notare la cascatella di adroni di cui didevamo.

La modalità con cui decidete di rivelare la cascatella di adroni o l'apparizione di un leptone apparentemente dal nulla dipenderà da diversi fattori. Per esempio, dal tipo di leptone che vi aspettate di vedere, cosa che dipende a sua volta dal tipo di neutrini che volete rivelare, e dal tipo di misura che vi interessa fare. Per questo non entrerò nel dettaglio, gli esperimenti che rivelano neutrini sul mercato sono parecchi e basati su tecnologie anche molto diverse. D'altra parte, hanno almeno alcuni alcuni punti in comune:

  • Il rivelatore deve essere grosso. Siccome i neutrini interagiscono poco, bisogna massimizzare le probabilità che queste interazioni avvengano. Più il rivelatore è grande, maggiore sarà la probabilità che una di quelle interazioni disegnate lì sopra avvenga. Per darvi un'idea, quello qui sotto è il rivelatore di Super-Kamiokande in Giappone, un'enorme piscina d'acqua circondata da rivelatori di luce chiamati fotomoltiplicatori. Quelli a destra sono i tecnici in vasca su un canotto che controllano i fotomoltiplicatori!

  • Il rivelatore deve essere piazzato in un ambiente "silenzioso" rispetto alle interazioni tra particelle. Siccome siamo bombardati da un flusso di particelle provenienti dai raggi cosmici, principalmente muoni e in parte adroni, mettendo un rivelatore in superficie saremmo sommersi dai segnali dovuti all'interazione di queste particelle con il nostro rivelatore, con praticamente nessuna possibilità di distinguere tra il rumore e le rare interazioni dovute ai neutrini. Se invece mettiamo il nostro rivelatore sottoterra, possibilmente sotto qualche chilometro di roccia, gli adroni e buona parte dei muoni cosmici verranno assorbiti prima, lasciando il nostro rivelatore pulito ad aspettare i neutrini. È la ragione per cui praticamente tutti i rivelatori per neutrini sono piazzati in caverne sotto le montagne.
  • Le interazioni interessanti verranno registrate solo dalla parte centrale del rivelatore. Questo è un dettaglio un po' tecnico, ma aiuta a capire le strategie per limitare il rumore di fondo che resta anche dopo aver piazzato il rivelare sottoterra. Per essere sicuri di non recuperare interazioni dovute a quei muoni che riescono ad attraversare la roccia intorno al rivelatore, viene generalmente definita una regione di "fiducia" nella parte interna del rivelatore, escludendone la buccia esterna, per essere certi per esempio che l'apparizione di un muone avvenga veramente dall'interno del rivelatore, e non sia invece un residuo di un traccia proveniente dall'esterno.

Una volta assicuratisi che queste condizioni siano soddisfatte, l'unica altra cosa da fare è aspettare. Essendo le interazioni rare, anche nel caso di esperimenti che guardano neutrini provenienti da un fascio, serve un tempo importante per registrare sufficienti interazioni. Se poi uno aspetta i neutrini provenienti dall'esplosione di una supernova, allora l'attesa si fa anche più lunga. Rivelare un neutrino è fondamentalmente un mestiere da pescatori: silenzio, pazienza, e una rete sufficientemente larga.

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Archiviato in:Fisica Contrassegnato con: interazione debole, neutrino, rivelatori

Interazioni del lettore

Commenti

  1. Mattia dice

    17 Novembre 2011 alle 15:14

    Da quanto ho capito, questi rivelatori vengono costruiti ( ad esempio quello del GS) per studiare come un neutrino mu si trasformi in un neutri no del tau... (spero sia giusto!!!) e la questione della loro superlimunarietà sia stata solo un "caso". Ma perchè si studiano come e se può avvenire questo passaggio di "tipo" (da mu a tau) se è già tutto così chiaro come spiegato nell'articolo? Intendo dire... se sappiamo già che si trasformano cedendo W+- cosa si ricerca ancora?

    Ciao e grazie!

    Rispondi
    • Claudio dice

      17 Novembre 2011 alle 19:28

      Tramite il W+ e il W- puoi trasformare un neutrino nel suo leptone carico associato, per esempio da neutrino elettronico ad antielettrone, ma non puoi cambiare il tipo, per esempio passare da neutrino elettronico ad antimuone, perché nel Modello Standard il tipo di leptone è una quantità che si conserva ad ogni interazione (tecnicamente si chiama conservazione del numero leptonico): se prima di un processo elementare hai un leptone di un determinato tipo, per esempio un leptone elettronico (sia esso un neutrino o un elettrone), dopo il processo elementare dovrai avere un leptone dello stesso tipo.
      L'esperimento sotto il Gran Sasso riceve un fascio di neutrini di tipo muonico dal CERN, quindi ti aspetteresti di vedere apparire dei muoni nel rivelatore: se invece rilevi un tau, allora significa che il neutrino nel tunnel 🙂 ha cambiato tipo, passando da muonico a tauonico. Ovviamente bisogna essere sicuri che questo tau sia nato in seguito all'interazione del fascio di neutrini con il rivelatore e non sia venuto da altre parti.
      Questo cambiamento di tipo del neutrino non è prevista dal Modello Standard, quindi è interessante studiare a fondo questo fenomeno.

      Rispondi
      • Mattia dice

        17 Novembre 2011 alle 20:13

        @Claudio: Grazie mille!

        Rispondi
  2. Andrea dice

    17 Novembre 2011 alle 17:07

    La mia domanda è come facciano i fisici del Gran Sasso a discernere i neutrivi in arrivo dal CERN con i miliardi di neutrini provevienti dal Sole che ogni istante attraversano la Terra.
    Grazie per l'attenzione

    Rispondi
    • Marco dice

      17 Novembre 2011 alle 21:25

      @Andrea: beh, in primo luogo considera che i colleghi di OPERA ricevono un fascio di neutrini muonici, mentre i neutrini solari sono (principalmente) di tipo elettronico, e dunque le firme che lasciano sono diverse. Ovviamente non è tutta la storia (ci sono per esempio aspetti legati a come la probabilità di interazione dipende dall'energia, e altri alla direzionalità dei neutrini), ma poco importa: in ogni caso dovrai valutare quanto "rumore di fondo" ti resta quando hai fatto tutto quello che potevi per distinguere il tuo segnale, e questa contaminazione entra nell'errore sulla misura finale.

      Rispondi
  3. francesca dice

    17 Novembre 2011 alle 17:33

    Grazie MARCO!!! ... devo dare un esame su questa serie di cose ma alle lezioni dormo troppo... mi sa che studierò da qui 🙂 per lo meno sicuramente la parte di neutrini... se poi magari ti capita di scrivere qcs sui meccanismi di produzione dell'higgs (o magari già c'è qualcosa e me lo sono perso?!) diventerai ufficialmente il mio "libro di testo" 🙂

    Rispondi
    • Marco dice

      17 Novembre 2011 alle 21:20

      @Francesca: io invece voglio proprio sperare che non ti baserai su questi racconti iper-semplificati per i tui esame, vero?!? Più caffè prima dei corsi! 🙂

      Rispondi
      • francesca dice

        18 Novembre 2011 alle 14:54

        si va bene, non solo su questi prometto 🙂 ma così intanto capisco di cosa si parla e poi posso affrontare le slide incomprensibili per lo meno capendo i disegni 😛 (caffè siamo già ai massimi livelli...)

        Rispondi
  4. evaldo dice

    17 Novembre 2011 alle 19:08

    ad assergi, hanno un rilevatore molto più piccolo di quello giapponese, in pratica è costituito da una tonnellata circa di pseudocumene (1,2,4-trimetilbenzene ) , forse sono riusciti a schermare meglio il rumore di fondo ?

    Rispondi
    • Marco dice

      17 Novembre 2011 alle 21:19

      @Evaldo: la taglia del rivelatore ha poco a che vedere (tranne per la questione della regione fiduciale) con il rumore di fondo, quello dipende da dove metti il rivelatore. La dimensione (insieme con le caratteristiche del rivelatore, ovviamente) determina il rate di interazioni, e dunque, a prescindere dalla tecnologia, cerchi sempre di farlo il più grande possibile. Ma poi ovviamente ci sono i problemi tecnici, e quelli di budget. Lo pseudocumene è uno scintillatore, mentre a SK usano l'acqua per rivelare la luce Cerenkov. E l'acqua costa decisamente di meno dello pseudocumene, per non parlare del fatto che è tossico.

      Rispondi
  5. Marco B dice

    18 Novembre 2011 alle 10:58

    Il team di OPERA ha pubblicato ieri un nuovo paper che conferma le misure precedenti.
    http://dl.free.fr/ohvAXmHvM/paper-neutrino-velocity-JHEP.pdf
    Rimangono i dubbi sugli errori sistematici, più (secondo me) qualche stranezza nella distribuzione temporale degli eventi.
    Vedere anche cosa scrive Tommaso Dorigo in http://www.science20.com/quantum_diaries_survivor/opera_confirms_neutrinos_travel_faster_light-84763

    Rispondi
  6. Alby dice

    18 Novembre 2011 alle 23:45

    Scusa Marco, ma se il neutrino è più veloce della luce come si sincronizza il CERN con OPERA per dare il tempo? non si subirebbe un ritardo pari alla differenza di tempo tra neutrino e luce? La trasmissione arriverebbe dopo l'arrivo di un pacchetto di neutrini no?

    Rispondi
    • Marco dice

      19 Novembre 2011 alle 00:19

      Come spiegavo qui, non c'è una sincronizzazione diretta tra i laboratori: solo i loro orologi sono sincronizzati, e servono a etichettare con un tempo specifico (sincronizzato) le particelle in partenza da una parte e in arrivo dall'altra. La misura del tempo si fa poi con un confronto tra queste etichette, ed eventuali sfasamenti locali.

      Rispondi
      • Alby dice

        19 Novembre 2011 alle 15:08

        Capisco, ma io intendevo che il ritardo della sincronizzazione GPS crea un ritardo anche sui due orologi ed il ritardo è pari al tempo che ci impiega la luce ad arrivare al Gran Sasso cioè circa (2±0.1)ns. La sincronizzazione pertanto rimarrebbe sbagliata di 2 ns.

        Rispondi
  7. Gero dice

    20 Novembre 2011 alle 07:47

    Ciao,
    un dubbio ma con rivelatori così grandi come si determina il punto esatto dell'evento?
    voglio dire, l'errore sulla determinazione della distanza si propaga sull'errore della determinazione della velocità, se il rivelatore è una vasca larga 50 m con i fotomoltiplicatori piazzati sul bordo come si evita di introdurre nella misura un+ o - 25 metri ?

    Rispondi
    • Marco dice

      21 Novembre 2011 alle 08:21

      @Gero: ovviamente la risoluzione spaziale dipende dal tipo di rivelatore, ma in generale tieni conto che un segnale viene sempre visto da più di un sensore, e la combinazione ponderata delle informazioni ti permette una grande precisione nella localizzazione spaziale.

      Rispondi
  8. paolo dice

    25 Novembre 2011 alle 17:13

    io non conosco la fisica nucleare , ma penso che i neutrini possano avere velocità diverse , a seconda dell'emettitore che li ha spediti . Ora supponiamo che i neutrini siano partiti con velocità quasi doppia di quella della luce perché nell'emettitore un neutrino si è appropriato della energia di un altro neutrino , come fanno a rilevare questi neutrini se dispongono di un rivelatore capace di rivelare solo neutrini con velocità prossima a quella della luce? Essi cattureranno solo i neutrini che hanno perso energia nel tragitto , ma è rimasta l'energia sufficiente per arrivare .

    Rispondi
  9. marco dice

    25 Dicembre 2011 alle 00:22

    come si fa a dare una massa ai neutrini solamente vedendo le interazioni

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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