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Sulla strada di casa

17 Ottobre 2010 10 commenti

Lo scorso fine settimana siamo tornati a Torino.

Ecco, noi  - Irene ed io - diciamo sempre "tornare a Torino", anche se sarebbe più appropriato dire "siamo andati a Torino" - visto che l'ultima volta che siamo "tornati" era in Febbraio - perché in qualche modo c'è un angolo della nostra testa che non riesce a liberarsi dall'idea che Torino è in qualche modo la casa madre. Giulia, per esempio, ha molto chiaro in testa che "i nonni abitano a Torino", e che "la nostra casa è a Chevry" (che peraltro fa abbastanza ridere, visto che Chevry è: uno, uno sperduto paesucolo della remota campagna francese più rurale; e, due, che Chevry rappresenta probabilmente solo una tappa del nostro vagabondare. Ma queste cose Giulia non le capisce ancora bene).

Insomma, siamo tornati a Torino per il fine settimana, attività che è sempre faticosa (fisicamente e mentalmente), e spesso straniante se non dolorosa, come ben ha scritto Irene venerdì scorso (eh! Proprio su Torino Sette, l'inserto locale de La Stampa. Non è ironica la sorte?). Nel corso del sabato e domenica, con un'agenda che nemmeno i consoli e i diplomatici, ci siamo barcamenati  come al solito tra una casa e l'altra dei nonni, sfiorando nel tempo libero una nutrita serie di amici che un paio di volte all'anno è sempre bello vedere di persona.

Mentre tornavamo a casa, sotto le gallerie tra Aosta e il Monte Bianco, Irene ed io ci scambiavamo le chiacchiere con gli amici (in una perfetta ottimizzazione della resa di tempo e incontri sabaudi, raramente entriamo nelle stesse conversazioni allo stesso momento). Le stesse amiche che le facevano notare che "stava francesizzandosi" pochi minuti dopo, tra uno scambio e l'altro sul CERN e sul mio (incerto) futuro professionale, mi chiedevano all'unisono: "in tutto questo superlavoro che racconti, ci chiediamo: ma dove trovi il tempo per il blog". Sono un po' caduto dalle nuvole: forse non visitavano queste pagine da un po' di tempo. Il tempo non lo trovo proprio, e il blog langue! E così ho anche raccontato alla mia signora della mia incapacità di gestire superlavoro, stanchezza e scrittura del blog, e della mia tentazione di congelare quest'ultimo per un po'. Non l'avessi mai fatto.

Chi conosce Irene sa che, tra le tante doti, possiede anche uno speciale stile motivazionale. Più o meno simile a quello di un sergente dei Marines. In sostanza, mi ha fatto il culo. Non ho fatto in tempo a dire "forse sono un po' stanco di questa storia del blog", che ho distintamente sentito il rumore della sua fronte che si aggrottava (mica potevo guardare, stavo guidando, ma l'espressione della fronte di Irene che si aggrotta mi è arrivata forte e chiara comunque). Ero impazzito? Allora per che diavolo ci avevo dedicato tanto tempo? Per puro godimento personale? Per nutrire il mio ego adesso sazio? E le persone che mi leggevano e mi consideravano una fonte attendibile? Le mollavo così? Per cosa poi? Riposarsi un po'? E così via. Io ho avuto un bel tentare di spiegarle la sbornia di ICHEP, e il desiderio mica tanto recondito di essere per un po' solo fruitore del dialogo sulla rete, e tutte quelle cose lì. Tutto di colpo sembrava debole. Perché se ce l'avevo fatta in questi anni, scrivendo di notte o nelle pause pranzo, perché non ce l'avrei dovuta fare adesso, che lavoro solo 10 volte di più, e che sono in scadenza di contratto, e che ho preso un paio di responsabilità aggiuntive, e che... Che non cercassi scuse, bugianen!

Oh beh, mi sa che ha ragione lei. Durante la fatica quotidiana o le notti insonni tutto questo sembra ridicolo, ma questa domenica pomeriggio, mentre le mie donne riposano e io me ne sto tranquillo sul divano, tutto sembra possibile. Quasi quasi scrivo un articoletto. Appena ho finito di calibrare il calorimetro di ATLAS per l'ultimo run. Come diceva in quest'occasione James Cameron:

Il fallimento è un'opzione contemplata, la paura no.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. peppe dice

    17 Ottobre 2010 alle 16:00

    anche la mia, di moglie, mi ha lanciato un'occhiata perplessa quando ho chiuso il blog. E Lei lavora, io no. Mi sarei aspettato piuttosto un "finalmente, così cominci a pensare alle cose serie", ma niente, esattamente l'opposto. Sarà che le mogli si divertono a scoprire qualcos'altro di noi attraverso il blog? (ovviamente scherzo ed i migliori alleati li abbiamo in casa)

    Rispondi
  2. Daniele dice

    17 Ottobre 2010 alle 18:55

    Grazie, Irene!

    Rispondi
  3. Massimiliano dice

    17 Ottobre 2010 alle 19:13

    In effetti non si può scrivere altro: evviva Irene! E grazie,
    Marco, davvero

    Rispondi
  4. Anna dice

    17 Ottobre 2010 alle 22:29

    Che fatica l'itineranza.
    Non so come possiate sostenere questa condizione, davvero.
    Chissà se la mia è paura o altro, mah.

    Ho sempre avuto nel cuore il nomadismo, quello che Basadonna cosi' bene racconta.
    "Nomadi, affascinati dal di là, dal dopo, dall'ancora, per leggere e vivere il di qua, l'adesso".

    Eppure non potrei nemmeno pensare di essere così altrove rispetto a questi luoghi e a queste persone che tutte insieme mi fanno sentire... a casa mia.
    Con il gusto di essere cittadina di un mondo dai larghi orizzonti, ma con le radici profonde come quelle di un baobab.

    Ti/vi auguro di trovare tutto il tempo che ti serve per fare ciò che ti sta a cuore.
    Io mi rendo conto che non ne ho mai abbastanza, che lo uso al meglio delle mie possibilità, eppure... eppure talvolta vorrei non fare nulla. E non impiegare il tempo, ma semplicemente assaporarlo e guardarmi mentre mi faccio attraversare da esso.

    Anna

    Rispondi
  5. Enrico F dice

    18 Ottobre 2010 alle 09:04

    Caro Marco, tu lo sai che le parole che hai appena descritto contengono uno degli ingredienti più rari della felicità, quello di avere accanto una persona che ti sprona, ti incoraggia, ti trasforma in qualcosa di positivo?
    Voglio bene a Irene per quello che racconti, e ti invidio per il dono che ti ha fatto pigliandoti a "calci in culo" 🙂
    Grazie a entrambi di esserci e di darci queste belle parole ogni tanto.
    Per quanto riguarda la citazione, preferisco le parole di Timothy Radcliffe: solo quando proviamo paura possiamo essere veramente coraggiosi.
    Quindi: continua così 🙂

    Rispondi
  6. emilio dice

    18 Ottobre 2010 alle 10:59

    forza irene..sei il nostro mito ..e se non bastano i calci in culo..prova con il mattarello...
    siamo tutti con te
    un salutone da genova
    emilio

    Rispondi
  7. Lorenzo Fiori dice

    18 Ottobre 2010 alle 19:21

    Accidenti, non pensavamo proprio che avessi una donna col 'mattarello': se le cose stanno così ben vengano le donne di polso...le donne son sempre le donne ed è difficile dirle di no...

    Rispondi
  8. GIGI dice

    18 Ottobre 2010 alle 21:09

    Bentornato Marco ! Evviva Irene !
    Sai Marco, ti capisco. Mia moglie ha due occhi che ha dovuto prendere il porto d'armi: può stecchire un toro infuriato a 10 metri con uno sguardo.
    Però è bello sapere che ci ritengono importanti ...

    Rispondi
  9. LGO dice

    18 Ottobre 2010 alle 21:12

    Bene 🙂
    Allora quand'è che ti rimetti al lavoro?

    Rispondi
  10. Emanuele dice

    19 Ottobre 2010 alle 09:35

    Irene, sempre sia lodata! 😀
    Grazie Marco, non commento quasi mai, ma ti posso assicurare che la mattina in ufficio è una delle prime pagine che apro, tutti i giorni!
    Ciao, Emanuele

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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