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I tavolini di certi bar di Torino

6 Gennaio 2017 4 commenti

Tra aprile e maggio dell'anno appena concluso sono stato a lungo in giro per l'Italia, a incontrare gli studenti delle scuole superiori i cui insegnanti mi avevano invitato a chiacchierare di fisica delle particelle. Mia moglie, rimasta pazientemente a casa con la figliola, aveva a suo tempo ribattezzato i miei giri come il “never ending tour”, dando delicatamente voce ai miei racconti del ritorno, che cercavano di raccontare quella scuola e quegli studenti italiani che mi pareva di aver intravisto:

La destinazione varia immancabilmente, come la temperatura diurna nel mese di aprile. Vicenza, Valdagno, Palazzolo, Milano, Seregno, Bologna, Torino, Catania, Floridia. Una biglia impazzita, insomma, con una certa, malcelata preferenza per gli abitati di provincia.  Il suo “never ending tour” segue la traiettoria, sgangherata e del tutto casuale, degli inviti che lo scienziato riceve da parte di scuole, biblioteche e licei, in giro per lo Stivale, isole incluse. (...)

Vi lascio andare a leggere tutto il suo articolo, se vi interessa.

Quello che ogni tanto succede, è che qualcuno degli studenti che incontro si rifà vivo, dopo poco o tanto tempo, per continuare le chiacchiere iniziate di persona. È stato il caso di C. del Liceo Lorenzini di Pescia, che, tra le altre cose, è la direttrice ir-responsabile (così recita il colophon!) del giornalino della scuola. Questo autunno C. mi ha scritto per propormi un' intervista per la loro pubblicazione, intervista che è uscita sul numero di novembre 2016 del giornale della sua scuola. Siccome le domande che mi ha posto C. sono, in buona parte, quelle tipiche che mi vengono fatte ogni volta che faccio uno dei miei incontri ("Quale è stato il tuo percorso di studi?", "Cosa pensi dei cervelli in fuga?", "Credi nell'esistenza di un Dio?", e così via...), ho pensato di condividere le risposte che ho dato in quell'occasione. Il PDF dell'intervista si può scaricare qui.

Ovviamente prendete le risposte per quello che sono: la mia personalissima opinione, in quel particolare momento. Vi anticipo qui sotto un pezzo dello scambio, che mi sembra in tono con questi giorni di rientro in Francia, dopo la pausa natalizia passata in Italia.

Le manca un po’ l’Italia?  Se sì, cosa maggiormente?

Sono un emigrato privilegiato, niente a che vedere con i nostri nonni e bisnonni che attraversavano l’oceano con la nave, non tornavano per anni e avevano solo le lettere come mezzo di comunicazione. La mia casa in Francia dista tre ore di automobile da quella in Italia in cui sono cresciuto, e tra Skype, posta elettronica e social network posso facilmente mantenere rapporti e amicizie. C’è però anche un effetto collaterale: questa vicinanza, fisica e virtuale, non fa che ricordarmi costantemente del fatto di essere partito, e di come la distanza, nonostante tutto sia, incolmabile.

Mia moglie Irene, che scrive per mestiere e molto meglio di me, ha riassunto questa sensazione in un piccolo articolo molto bello, intitolato “Un cappello da tenere sempre in testa”: “Viviamo nell’epoca della condivisione obbligatoria ed esibita di ogni momento, sia esso di gioia o di dolore, di ogni traguardo, o fallimento. Ma chi sta lontano, non importa quanto o perché, sa, forse più consapevolmente degli altri, che questa condivisione non è che una chimera. Una finzione. Un miraggio collettivo. La distanza è troppo intima per essere condivisa e se ne sta lì, spessa come un muro di cinta, a tracciare i confini di un altrove degli affetti e della mente cui, ironia anche questa, non apparterremo mai del tutto.”

Dell’Italia mi mancano le edicole, i tavolini di certi bar di Torino, il caffè e i tramezzini, le piazze con i ciottoli e i colori dei muri delle case nelle campagne del Piemonte e della Liguria. Mi mancano le forme delle cime delle Alpi viste da quella parte, ché di qua sono le stesse, ma sembrano diverse. Mi manca l’italiano, inteso come lingua, perché, nonostante ormai parli correntemente francese e inglese, c’è una ragione per cui la tua lingua “madre” si chiama così. E poi mi manca un po’ l’impegno politico e sociale, quello fatto con le mani e con i piedi e non solo sul web, e che da quando sono partito non frequento più come facevo prima.

L'arbero di Natale delle mille luci, Piazza Castello, Torino, Natale 2016. Foto di qualità scattata con il mio furbofono più-che-vintage.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. GIGI dice

    6 Gennaio 2017 alle 18:16

    Grazie Marco.
    Due belle letture promettono un anno piacevole.
    Ora perdonami, ma devo farti un appunto.
    Devi capirmi, come cerco di combattere le false scienze, così difendo la nostra "mamma" lingua.
    Lascia spendere il tempo agli americani, che valutano quasi tutto in dollari.
    Il tempo passa o trascorre, ma non si vende, purtroppo non si compra, ma sopratutto non si può spendere.
    Buon anno!

    Rispondi
  2. Marco dice

    6 Gennaio 2017 alle 18:34

    Ciao Gigi! Buon anno! Occhio che a fare le pulci sono bravissimo anche io 😉

    Dal sito del vocabolario Treccani (http://www.treccani.it/vocabolario/spendere/):

    Spendere (...) con partic. riferimento al tempo: sfaccendati che spendono il tempo a chiacchierare intorno ai fatti altrui (Capuana); avevo speso in modo uggioso quella giornata (Calvino).

    (sono in buona compagnia 🙂 )

    Rispondi
  3. Umbedx dice

    7 Gennaio 2017 alle 18:50

    Nostalgia del bel paese ?
    ...http://noisefromamerika.org/articolo/valori-burocratici-parte-3-caso-autorita-garante-concorrenza-mercato...
    Auguri per un bel 2017!

    Umbe

    Rispondi
  4. Maurizio dice

    14 Gennaio 2017 alle 13:23

    per Umbedx e gli altri...

    No, non ci convincete. Potete fare mille esempi di cose che nel BelPaese non funzionano, o che potrebbero funzionare molto meglio, con (quasi) sempre l'inevitabile conclusione "Beato te....che stai all'estero". Non ci convincete, e i motivi sono tanti. Il primo motivo è che in Italia ci abbiamo vissuto anche noi, mica siamo emigrati in fasce, e sappiamo bene come è il nostro Paese. Lo conosciamo a menadito. Anzi, a fronte del nostro vivere all'estero, lo conosciamo pure meglio di prima. Quindi sappiamo, non ci dovete insegnare niente. Anche se fa male vedere che è sempre uguale, uguale a quando siamo partiti. Il secondo motivo è che pure all'estero esistono i problemi. Sono solo problemi diversi. Quindi no. Noi ci teniamo la nostra nostalgia, anche se non torneremo mai, e voi tenetevi le vostre lamentele. Che quando scendo in Italia ed entro in un bar italiano, non le ricordo più. Curioso, mai avrei pensato che un caffè potesse farti dimenticare i problemi (dell'Italia) più che una bottiglia di vino...
    😉

    (non lo prendete troppo seriamente, ma ogni tanto ci vuole)

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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