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Wendy

17 Aprile 2012 16 commenti

Ci sono oggetti che sai che sono rimasti lì, chiusi dentro scatoloni polverosi nella soffitta della casa di campagna dei tuoi, o dietro la porta della camera dell'appartamento di Torino, quello in cui hai speso il tempo a combattere contro la tua adolescenza. Li hai lasciati indietro, perché al momento di partire verso un'indipendenza rapida e lontana, un bagaglio leggero è sempre più facile da gestire. E soprattutto perché, finita l'adolescenza, hai velocemente realizzato che non saresti potuto essere allo stesso tempo un brillante fisico delle particelle, un fotografo professionista, un disegnatore affermato di fumetti, e anche un virtuoso chitarrista rock.

Hai fatto delle scelte. Una chitarra acustica è più veloce da prendere in mano, accordare, strimpellare per dieci minuti e rimettere sul trespolo. Una reflex digitale richiede meno spazio dell'ingranditore per la stampa in bianco e nero, con i suoi bagni di acidi e la carta costosa. I pennarelli sono più semplici da usare che gli ecoline per gli acquerelli, richiedono meno sicurezza e precisione, perdonano più volentieri un errore. Nessun rimpianto, nessuna nostalgia. In questo momento della vita va bene così, e ci sono tecniche da apprendere e bravure a cui aspirare, anche se le sole corde che hai sottomano sono delle .012 di bronzo, se l'unica camera oscura accessibile è lo schermo del portatile, se l'ampiezza delle gonne delle principesse è il metro principale che misura il successo di un disegno.

Ma se sei quello che sei diventato, non smetti certo di essere quello che sei stato, e le due persone si sovrappongono, e continuano a parlarsi. Bastano dieci minuti, la pioggia fuori che non accenna a smettere, l'impulso a riaprire la custodia dietro la porta. Lei è li ad aspettarti: la selletta del mi cantino perde sempre l'intonazione come vent'anni fa, il pick-up al manico ronza e va in feedback come sempre, l'amplificatorino economico mugola malamente, che non è mai stato niente di speciale. È sempre stata una chitarra economica, di quelle che oggi si comprano per 200 dollari, che allora mi costò forse 300mila lire, un capitale per il ragazzo che ero. Il ponte continua a infastidirmi, adesso come un mese dopo averla comprata, e continuo a dirmi che dovrei cambiarlo, e forse anche mettere un humbucker al manico, e magari ricablare l'elettronica. Ma oggi, se veramente volessi, forse comprerei direttamente  questa, o magari questa, ché visti da quassù certi prezzi non sembrano mica più tanto spaventosi come vent'anni fa, e forse potrei usare la mia vecchia fida per qualche esperimento. Chissà. Forse, un domani.

Il manico in acero, invece, l'ho sempre amato. Liscio, delicato, accogliente, preciso. Bastano dieci minuti perché certi sogni di gloria, e la speranza di un futuro fatto a nostra misura, riemergano tra le dita irrigidite e sospettose. Siamo quello che siamo diventati, siamo quel che siamo stati, e un giorno, forse, saremo quello che volevamo essere. Nel frattempo, si continua a correre.

Together Wendy we can live with the sadness
I'll love you with all the madness in my soul
Someday girl, I don't know when
we're gonna get to that place
where we really wanna go
and we'll walk in the sun

(Torino, 15/4/2012)

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Archiviato in:Vita di frontiera Contrassegnato con: Born to run, memoria, rock, Telecaster, Torino

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Commenti

  1. Marco B dice

    17 Aprile 2012 alle 10:07

    Marco, sei un inguaribile romantico. Per fortuna non sei il solo, fidati 🙂

    Rispondi
  2. juhan dice

    17 Aprile 2012 alle 12:00

    Bravo! un post che vorrei aver fatto io 🙂

    Rispondi
  3. Gabriele Morra dice

    17 Aprile 2012 alle 15:25

    Bel post. Conosco bene quella sensazione. Controllarla e continuare a correre e' un'arte che si impara col tempo.

    Rispondi
  4. FraEnrico dice

    17 Aprile 2012 alle 16:35

    Ommadonna hai citato Born to Run, ma tu mi vuoi fare piangere!

    Rispondi
  5. Fabiano dice

    17 Aprile 2012 alle 17:36

    E bravo il nostro chitarrista fotografo fumettista fisico delle particelle divulgatore runner ciclista padre di famiglia blogger cinofilo e non so quante altre cose - simpatico ragazzo in gamba dal maglione rosso! 🙂

    Rispondi
  6. delo dice

    17 Aprile 2012 alle 21:29

    Come avevo notato qualche tempo fa, sembra che i fisici delle particelle abbiano spesso gli stessi hobby. Io pero' sono un distastro a disegnare!
    Sono riuscito a portarmi "al cern" un paio di strumenti: una vecchia chitarra acustica (compagna di mille avventure) e un basso elettrico da "battaglia" che la mia santa moglie mi regalo' quando eravamo in Irlanda (quello "bello" e' rimasto a milano).
    Ultimamente ho anche ricominciato a suonicchiare con un gruppo di "Cernioti"

    delo

    Rispondi
  7. calimero dice

    18 Aprile 2012 alle 16:51

    marco io ho abbandonato la chitarra e comprato un mandolino. che dici e' grave?

    Rispondi
  8. zar dice

    18 Aprile 2012 alle 19:17

    Eh eh, mio figlio tempo fa è arrivato con la sua chitarra e mi ha detto che voleva modificare l'elettronica, cambiare i pick-up, e quindi anche i potenziometri. E dopo qualche giorno mi sono trovato lì, col saldatore in mano e uno schema sul tavolo, a tentare di capire cosa dovessi fare per non rovinargli tutto 🙂

    Son cose belle.

    Rispondi
  9. Nereis dice

    19 Aprile 2012 alle 16:28

    Che bello la chitarra! Mi hai fatto ricordare quando nel 1956 mio fratello comprò una chitarra con la cassa di ciliegio e la pagò 15000 lire (la paghetta era di mille lire al mese per noi, ed eravamo in collegio). Ce l'ho ancora e ogni tanto suono e canto vecchissime canzoni...

    Rispondi
  10. Andrea dice

    20 Aprile 2012 alle 09:22

    Adoro Wendy, ma amo di più...Mary 🙂

    Rispondi
    • Marco dice

      20 Aprile 2012 alle 09:29

      @Andrea: come credi che si chiami la mia chitarra acustica? Tutte le mie chitarre si sono chiamate in alternanza Wendy, Mary e Sandy, tranne una Ferrarotti da battaglia che penso chiamassi Francesca, non so più manco perché, e un'altra che per misteriose ragioni era una chitarra maschio (un chitarro?) che chiamavo Art.

      Rispondi
  11. calimero dice

    20 Aprile 2012 alle 19:18

    forse "art" aveva le leva del tremolo?
    http://en.wikipedia.org/wiki/Tremolo_arm
    cmq marco scherzavo solo a meta' sopra; il fatto che dopo 30 anni di pratica con la chitarra ho messo da parte la mia, fulminato dalla passione per il mandolino, mi fa sentire un traditore, che so uno che abbandoni la fisica e si mette a fare -- dio non voglia! -- ingegneria

    Rispondi
  12. dario dice

    21 Aprile 2012 alle 15:06

    jehaaaa man...stay on style rock

    \m/

    Rispondi
  13. XectX dice

    25 Aprile 2012 alle 20:13

    Adoro le telecaster...
    Davvero bello questo post, molto molto bello, sarà che ascoltavo musica particolare ma mi ha fatto muovere qualcosa in testa...

    Saluti da un lettore che non commenta mai

    Rispondi
  14. Andrea dice

    29 Aprile 2012 alle 01:43

    @Marco: Fantastico:) La mia preferenza per Mary è dovuta anche al fatto che Thunder Road è anche citata in un film di fantascienza (altra passione condivisa, oltre al Boss ed alla Fisica of course!) degli anni ottanta, un film per ragazzini che mi piacque molto,
    non a caso negli anni ottanta lo ero anche io, un ragazzino. Il film si chiamava Explorers se non sbaglio e Thunder Road era il nome dell'astronave "fatta in casa" proprio in onore al Boss di cui uno dei protagonisti era fan.

    Rispondi
  15. enrico dice

    30 Aprile 2012 alle 09:20

    eh eh Marco il bello che nonostanze la lontananza le sensazioni vissute convergono come uno dei tuoi fasci di particele!!!
    Io comunque l'appuntamento del 10 giugno a Firenze lo rispetterò!!!

    Mollo tutto e via.......

    perchè nn ci vediamo tutti là.........

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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