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Blue line

7 Giugno 2006 1 commento

Qui il jet-lag si attenua, stamattina ho aperto gli occhi alle 6:30, cosa che mi ha comunque lasciato il tempo di esplorare un po' la parte a Nord dell'aea dove albergo, trovare una zona carina di localini per bere un bicchiere la sera (ma non stasera, domani si parla!) e fare colazione alla Corner Bakery. Questa volta ero preparato alla richiesta di come volessi le uova (sunny side up!) e mi hanno nuovamente fregato:le uova erano solo scrambled, in compenso la consueta lista delle domande era a proposito del contorno. Un dimesso "the last you mentioned" mi ha portato patate al forno con la buccia e funghi. Meno male che io apprezzo.

Per arrivare a Chicago centro dall'areoporto O'Hare c'è un'ora di treno sulla blue line. Si attraversano i sobbroghi, che sembrano un set dei Blues Brothers enorme. Le case sono tutte in mattoni rossi, con le scale di legno per entrare e quelle di metallo nero che si arrampicano come ragni sul retro per fuggire al fuoco. Arrivare in America è sempre strano, questo posto occupa da sempre l'area dei sogni e della rappresentazione, io mi sento sempre catapultato su un set cinematografico.

Gli hotel più sciccosi di Chicago (dunque non il mio) hanno un valletto ("valet") che staziona davanti alla porta, e sistematicamente una ciotolona di metallo lucente come i tubi di scappamento dei tir dei film piena di biscotti a forma d'osso. La cura del cliente passa anche dall'accoglienza del suo cane, di solito un'odioso piccolissimo infiocchettato quadrupede che è più topo che cane (ma sono gusti). Salendo di categoria fino agli hotel lussuriosi la ciotola è vuota, e i biscotti sono sono in un enorme barattolo di vetro poco più in la: come per le persone, i cani poveri non mangiano, quelli medi si strafocano senza controllo, quelli ricchissimi si controllano.

A proposito di poveri, ce ne sono parecchi. O meglio, la quantità di gente che chiede la carità sulle lussuose strade del centro è incredibilmente alta. Molti sono giovani e giovanissini, o nei e vecchi (ma saranno vecchi per davvero, o solo rovinati). Il migliore cartello che ho incontrato per adesso è: "hungry, broke, and need a soap".

Sulla Michigan c'è lo shop Apple. Se uno non sapesse che cosa è la mela gigante che campeggia sul muro dell'edificio lo prenderebbe per una galleria d'arte moderna. Credo di aver capito che Apple non vende computer o tecnologia, ma uno stile di vita e dei simboli di riconoscimento di un branco. Il problema non è avere il migliore lettore mp3 per ascoltare la musica, piuttodto scegliere di colore dell'iPod da accoppiare alla maglietta con cui andare a correre, insieme a mille altri jogger con altrettanti iPod.

Sotto il John Hancock Center (uno dei tanti grattacieli del centro), c'è un caffè che si chiama "L'appetito": fanno un espresso con caffè Illy che non ha nulla da invidiare a un caffè italiano. Mai avrei detto. A Chicago può fare piuttosto fredo d'inverno, e per questo la North Face ha un negozio e-nor-me proorio di fianco a L'Appetito. Ah, non potrò resistere ancora molto...

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  1. Un bassotto anti-soppressa! | Borborigmi di un fisico renitente ha detto:
    28 Febbraio 2016 alle 15:34

    […] 2006. Gli altri articoli su quella conferenza sono Colazione a Chicago, Almeno il mio hotel c'era, Blue Line, Greetings from Chicago e Libertà è scegliere la propria […]

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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