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Finire le cose

12 settembre 2013 10 commenti

Ci sono alcune cose basilari che ripeto fino alla nausea a tutti gli studenti che mi passano sottomano, ché le ritengo così fondamentali per la loro formazione da voler essere veramente certo che entrino loro nella testa. La prima è: non ci sono domande stupide (al limite risposte stupide, ma questa è un'altra storia), per cui non trattenetevi mai dal fare una domanda, per quanto idiota possa sembrarvi. La seconda è: imparate a finire ogni cosa che iniziate, a ogni costo.

Finire le cose è difficile, fa paura, è doloroso. Mentre è in corso d'opera, un progetto è sempre perfettibile, e, di conseguenza, perfetto in potenza. Una volta terminato, diventa irrimediabilmente imperfetto. Imparare a convivere con l'imperfezione ed il compromesso fa parte del processo di maturazione professionale, per una scienziato in particolare.

Conosco un mucchio di fisici anche molto bravi che faticano a finire i loro progetti. Per molti di loro, la ricerca della perfezione diventa spesso un'ossessione che paralizza. Ho visto moltissimi lavori interessanti e promettenti arenarsi di fronte alla necessità di scendere a compromessi, quando la comprensione dettagliata di tutti gli effetti in gioco cominciava a richiedere troppo tempo, e una certa saggezza avrebbe invece consigliato di chiudere comunque il lavoro, anche in uno stadio preliminare, accontentandosi di una valutazione magari meno precisa. E notate che dico "meno precisa" (nel senso di qualcosa che ha incertezze più grandi), e ovviamente non "meno accurata" (ovvero qualcosa che non rappresenta in modo corretto il  risultato, nel limite delle incertezze in gioco).

È meglio un risultato definitivo, accurato ma non necessariamente precisissimo, che sia rilevante per la comunità scientifica, e disponibile, piuttosto che una bozza privata di un risultato in perenne evoluzione, in potenza anche precisissimo, ma di fatto inutilizzabile. Dalle parti da cui vengo, un proverbio direbbe che "il meglio è il nemico del bene". E poi, è importante imparare a distinguere le priorità, a vedere il progetto nella sua interezza, a categorizzare gli elementi che determinano la qualità del risultato, e a scegliere di conseguenza. Una misura è sempre affetta da diversi errori, ma se ne esiste uno largamente dominante, ogni sforzo di ottimizzare le incertezze irrilevanti è probabilmente inutile.

L'altro giorno ho iniziato a scrivere il settimo capitolo del mio libro. È l'ultimo, e penso di essere finalmente a buon punto. Certo, ci sarà da rivedere, sistemare, ripulire, riscrivere, ma l'idea di mettere un punto finale a questa prima bozza è liberante, ed elettrizzante. Non sarà un prodotto perfetto, e una volta fuori (se poi mai uscirà: dalla prima bozza alla pubblicazione - sempre che l'editore mi voglia ancora, visti i ritardi - c'è ancora una lunga strada!) mi pentirò di certo di tante scelte, di tante parole, di tante approssimazione che avrei potuto piallare meglio. Ma bisogna lasciare andare, accettare che le cose finiscano, sforzarsi di finirle, perché è solo così che si impara. Anche un perfezionista come me.

snoopy-the-end

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Archiviato in:Scienza e dintorni, Raccontare la scienza, Intenzioni educative Etichettato con:accuratezza, domande, incertezze, libro, perfezionismo, precisione, progetti, studenti

Reader Interactions

Commenti

  1. Pasquale dice

    12 settembre 2013 a 22:02

    Recepito... ed in effetti sono consigli che più volte i professori hanno espresso, ma solo recentemente ne sto capendo l'importanza, anche se forse con il primo (quello delle domande) ho qualche volta ecceduto: ho iniziato uno scontro frontale, con toni i più diplomatici possibile, con un paio di prof, anche all'esame, su particolari argomenti, e benché volessero per forza convincermi, alla fine ho resistino, ed ho fatto bene, perché poi a casa, con calma, facendo qualche ricerca, ho sempre avuto la conferma di aver ragione 8)
    Purtroppo in queste occasioni, poche fortunatamente, ho avuto l'impressione che il maggior nemico di un dialogo costruttivo, che è anche nemico della libera espressione delle domande, è l'idea di essere un prof alla Marchese del Grillo: "Mi dispiace, ma io so' io e voi non siete un *****!"

    In ogni caso, auguri per la conclusione del libro!

    Rispondi
  2. piero giacomelli dice

    12 settembre 2013 a 22:19

    si purtroppo un peccato che poi ti cassino il paper solo perché non hai dato un risultato sufficientemente profondo e devi ripiegare su arxiv.org

    Rispondi
  3. Marco dice

    13 settembre 2013 a 07:58

    @Piero: dai, su, non fare il musone. Questa è un'altra storia: sapere "finire le cose" non vuol mica dire essere superficiale, approssimato o, peggio, irrilevante, e credo che dal post il concetto si capisse. Il venire rimandato al via da un referee per il contenuto di un paper fa paret del gioco. Poi, chiaramente, abbiamo una visione ed un uso molto diverso dell'arXiv: per dire, noi ci sottomettiamo solo paper che vanno *anche* sui giornali, e ci restano solo se accettati.

    Rispondi
  4. IgorB dice

    13 settembre 2013 a 08:09

    Rebloggato al volo!

    È meglio un risultato definitivo, accurato ma non necessariamente precisissimo, che sia rilevante per la comunità scientifica, e disponibile, piuttosto che una bozza privata di un risultato in perenne evoluzione, in potenza anche precisissimo, ma di fatto inutilizzabile.

    Vale dappertutto, anche nel lavoro informatico che faccio io: un programma, una procedura o un pezzo di software possono evolvere sempre, ma a un certo punto serve qualcosa di usabile, ragionevolmente stabile e "bug free".
    E bisogna scendere a compromessi.

    Rispondi
  5. Matteo dice

    16 settembre 2013 a 02:08

    Beh certo, nella logica della moderna produzione scientifica, che ha patria elettiva in america dove essa è addirittura una necessità parossistica, non si può neanche immaginare un comportamento alternativo senza deragliare fuori e finire in una deriva di emarginazione. Si tratta tuttavia di capire se questa logica oramai ha un futuro collettivo.

    Rispondi
  6. Federico Orlandini dice

    16 settembre 2013 a 15:28

    Confermo in pieno quanto detto da Igor. Le possibilità di scrivere codice migliore, di maggiore qualità e più elegante è sicuramente un richiamo allettante.
    Ringrazio nuovamente Marco per questo suo blog che reputo una piccola perla nel immenso mondo del WWW.

    Rispondi
  7. vittorio d'auria dice

    27 settembre 2013 a 09:11

    A proposito delle domande, non sono così sicuro della loro necessità, del non trattenersi dal farne. Ho assistito, qualche tempo fa, ad una conferenza del rabbino Haim Baharier. Alla fine disse (più o meno): "Qui il mio intervento si conclude. Mi dicono dall'organizzazione che è consuetudine a questo punto rispondere a eventuali domande. Naturalmente aderisco e tuttavia voglio premettere che le buone domande non hanno risposta e le cattive domande non meritano risposta." Nessuno osò interrogare il rabbino.

    Rispondi
  8. Juhan dice

    27 settembre 2013 a 10:19

    @ Vittorio: il Rabbino non è uno scienziato.

    Rispondi
  9. glorfindel dice

    27 settembre 2013 a 23:29

    Che bel post.

    Rispondi

Trackbacks

  1. Mettere un punto | Musica, computer e dintorni ha detto:
    23 settembre 2013 alle 06:03

    […] spudoratamente il post di Marco Delmastro sull’importanza di mettere un punto, una parola fine ad un […]

    Rispondi

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Marco Delmastro

Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra.

Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità.

Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Prima o poi ne scriverò un altro.

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