Fausto è mancato il 17 settembre di quest’anno. Aveva 91 anni, e una bella vita alle spalle. Il suo cuore ha smesso di battere molto rapidamente, mentre era ancora in piedi e attivo, senza costringerlo ad aspettare la fine in un letto, una cosa che difficilmente avrebbe sopportato.
Fausto era un personaggio pubblico. Un musicista, un artista, un militante, un politico, un architetto: alla sua morte sono arrivati ricordi e celebrazioni, della sua opera e delle sue battaglie, e altri seguiranno di sicuro. Di tutto questo diranno altri, molto meglio di me: di lui e delle sue imprese culturali e politiche si può leggere sui giornali e sul web; la sua musica si continua ad ascoltare su dischi, YouTube e Spotify, e ci sono libri scritti e documentari girati su di lui e i suoi compagni.
Ma, per me, Fausto era prima di tutto il papà di Irene e il nonno di Giulia. Con lui ho camminato su sentieri di montagna; sopportato il suo russare nella stessa camerata, o nella stanza accanto; bevuto ottimo vino e superalcolici dozzinali, sempre in abbondante quantità; assistito alle sue proverbiali esplosioni d’ira, condite da collezioni di sofisticate bestemmie, e al suo altrettanto proverbiale e rapidissimo ritorno alla calma e alla gentilezza, come se niente fosse successo. Gli ho visto attraversare con entusiasmo mai domo le mille passioni della pensione, oltre alla musica, la militanza e la montagna: la rilegatura di tomi polverosi, il Sudoku compulsivo, la falegnameria brutalista. Gli ho aggiustato il computer un’infinità di volte, ho smontato dai muri le sue ciabatte elettriche pericolosissime — l’elettricità non era certo il suo forte! — e imprecato contro le sue manie: le prese elettriche altissime sui muri, le lampadine a risparmio energetico fiochissime, le viti da legno usate per unire qualunque cosa, alla faccia di ogni qualità meccanica o, non sia mai, estetica. Per lui ho cucinato con grande piacere, godendo della sua permanente soddisfazione, con tanto di gemiti di piacere a ogni assaggio, sempre fin troppo lusinghiera. Gli ho visto brillare gli occhi tutte le volte che parlava di Giulia, che avesse sette mesi, sette anni o diciassette, sempre con il cuore di nonno innamorato. E l’ho sempre sentito chiamare Irene “Ciccia”, come se avesse ancora dieci anni. In fondo, non siamo tutti bambini per sempre agli occhi dei nostri genitori?
Fausto era generosissimo, e amava la vita come pochi. La vecchiaia gli stava stretta, e negli ultimi anni gli acciacchi gli pesavano, forse troppo; l’ha attraversata come ha voluto, e come ha potuto, a volte anche con amarezza. Teneva alla sua autonomia al punto da rendersi la vita complicata, sempre lottando per poter continuare a fare da solo, nonostante gli anni e le fatiche. Fausto era pure un gran testone, iracondo e cocciuto. Mentre in questi giorni in tanti ricordano le sue imprese, la sua musica, la sua arte, io mi ritrovo invece a continuare a dialogarci silenziosamente, non raramente smadonnando come faceva lui, mentre mi scontro con le sue manie quando provo ad aiutare Irene a rimettere a posto le infinite carte, i progetti, il caos. Sono certo che mi ascolta, e capisce.
Fausto era ateo e profondamente anticlericale, lo sanno tutti. Io però ho conosciuto anche un’apertura e un rispetto inattesi verso i percorsi spirituali altrui, o, chissà, forse solo per il mio. Da quando è partito, quando penso a lui mi viene da cantare Signore delle cime, un canto/preghiera corale per i caduti in montagna che forse lui non ha mai cantato [1]Ma poi, chi lo sa? Fausto aveva fatto l’alpino e aveva frequentato per anni la montagna con il CAI, e diceva sempre che amava il guazzabuglio eterogeneo di esperienze e scelte di vita che ci aveva trovato. I cori di montagna li conosceva di certo, fosse anche solo per un desiderio filologico.. Fausto adesso riposa tra le montagne che ha tanto amato, e cantare mi sembra un bel modo per salutarlo, per ricordarlo, per portarlo con noi sui sentieri della vita che resta:
Su nel Paradiso lascialo andare per le Tue montagne.
Note
| ↑1 | Ma poi, chi lo sa? Fausto aveva fatto l’alpino e aveva frequentato per anni la montagna con il CAI, e diceva sempre che amava il guazzabuglio eterogeneo di esperienze e scelte di vita che ci aveva trovato. I cori di montagna li conosceva di certo, fosse anche solo per un desiderio filologico. |
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