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Avventure teologiche statunitensi

31 Ottobre 2019 12 commenti

La settimana scorsa ero a New York in vacanza con moglie e figlia insieme a una famiglia di amici. Eravamo quatto adulti e tre bambine tra i 10 e i 12 anni: abbiamo girato la città come solo i turisti con poco tempo a disposizione fanno, ovvero a ritmi forsennati, cercando di non perdere nulla di quello che c'è da vedere, manco fosse veramente possibile in una megalopoli come la Grande Mela. Tra le tante cose che volevo fare questa volta a New York, che ho già avuto la fortuna di visitare un paio di volte nel passato, c'era andare a Harlem ad assistere a una messa gospel. Domenica, complice il brutto tempo, sono riuscito a trascinarmi dietro famiglia e amici-con-famiglia per andare a una messa-con-gospel-incorporato. Vi racconto come è andata.

Cominciamo col dire che pioveva che Dio la mandava. La cosa si prestava a essere interpretata dagli astanti in modi opposti: ovviamente con il classico "l'universo sta invitandoti a startene al caldo in albergo", ma anche come "cerca la casa del Signore con la celebrazione più lunga che trovi, entra e restaci fino alla fine, che almeno non ti bagnerai". Pieni di buoni propositi, abbiamo scelto la seconda opzione, e preso la metropolitana per Harlem.

Puntavamo alla celebrazione delle 10 della Abyssinian Baptist Church, di cui avevo letto bene, e che alcuni conoscenti mi avevano consigliato. Siamo arrivati in largo anticipo come suggerito da tutti, e... non ci hanno fatto entrare. Da qualche tempo, in barba a guide e pagine web che ne decantano l'accoglienza, gli amici battisti della Abyssinian Baptist Church non accettano più ospiti. L'usher di fronte alla chiesa, elegantissimo in completo e cravatta, ci ha sostanzialmente detto che la celebrazione è riservata solamente agli appartenenti alla congregazione, e ci ha dirottato verso un'altra chiesa non troppo lontana, la First Corinthian Baptist Church. Da qui una prima constatazione: per molte congregazioni evangeliche l'appartenenza a una chiesa specifica è essenziale. È un concetto decisamente più forte che, per esempio, l'essere membro di una parrocchia cattolica in un paese europeo, dove, a prescindere dall'eventuale appartenenza territoriale, non ho mai sentito negare l'ingresso in chiesa a chiunque volesse partecipare a una funzione.

C'è però da dire anche che queste chiese di Harlem sono probabilmente prese d'assalto dai turisti. Qualcuna ha certamente sentito il bisogno di tutelarsi, per evitare che le celebrazioni si trasformassero in spettacoli per un pubblico più o meno pagante, che viene per sentire il coro della chiesa come andrebbe a un concerto. Ho anche scoperto che le celebrazioni sono spesso trasmesse in streaming su internet, per quei membri della congregazione impossibilitati ad andare per motivi di salute, o che si trovano temporaneamente lontani, per esempio per lavoro o studio. Sembrerebbe che per i membri di alcune di queste comunità non basti partecipare a una funzione simile altrove, è necessario presenziare a quella della propria chiesa. È un fenomeno probabilmente legato all'infinita frammentazione - spesso molto autoreferenziale - delle chiese evangeliche. A prescindere da teologie e fedi, non sono sicuro che mi piaccia: mi piace pensare alla spiritualità come qualcosa che unisce, ma evidentemente sono un ingenuo.

La First Corynthian Baptist Church è sulla 116' strada, e noi da bravi ci mettiamo in marcia. La Abyssinian Baptist Church che ci appena chiuso l'uscio in faccia sta sulla 138', e dunque ci siamo ritrovati con una ventina di isolati da fare a piedi, sempre sotto il diluvio. Ci sarebbe da scoraggiarsi, ma per fortuna lungo il cammino incrociamo almeno una decina di deli aperti. Per chi non lo sapesse, "deli" sta per "delicatessen": sono negozi di alimentari qui praticamente sempre aperti, simili a gastronomie, ma ovviamente con un offerta decisamente americana, e variabile a seconda del quartiere. A Harlem tutti i deli sembrano avere in menu una qualche forma di panino col pastrami, una sorta di affettato di manzo speziato a metà tra la bresaola e il roast-beef (mi perdonino gli esperti per la grezza semplificazione) particolarmente amato dal papà della famiglia di amici che ci accompagna. La cosa è rassicurante: comunque vadano le cose con le chiese del quartiere, sapremo come consolarci!

Oltre ai deli col pastrami, a ogni isolato lungo il cammino incontriamo una nuova chiesa.  O, in alternativa, un cartello indicante un luogo di culto meno centrale, cartello messo a bella posta sul marciapiede - spesso vicino all'ingresso del deli di turno! - per invitare i fedeli dispersi verso una chiesa sfortunatamente piazzata in una posizione meno appariscente e accessibile. Incrociamo diverse chiede battiste, almeno una presbiteriana (o era episcopaliana?), una metodista, una pentecostale: a Harlem non manca certo la possibilità di pregare secondo i propri gusti teologici!

Arriviamo finalmente alla First Corinthian, piove ancora, e c'è la coda tutto intorno all'isolato. Da una rapido controllo capiamo che è la prima chiesa suggerita da praticamente tutte le guide, ed è anche la meta preferita di svariati "gospel tour" organizzati. Sebbene sia collocata in un ex-teatro da 7000 posti, cosa che probabilmente ci permetterebbe di trovare un posto a sedere nonostante la coda, l'idea di stare ancora mezz'ora sotto la pioggia ad aspettare non sembra propizia a esperienze mistiche. Decidiamo di fare marcia indietro, puntando a una della altre chiese incrociate lungo la strada.

Greater Refuge Temple Church (credits: GRTC Facebook page)

Sono le 10:15, entriamo finalmente alla Greater Refuge Temple. Sono molto gentili e accoglienti, ci piazzano sulla balconata, hanno chiaramente l'abitudine ai turisti. La foto che ho messo lì sopra non è mia, sul divieto di scattare gli accogliente gli usher sono tassativi, e posso capirne il senso. Ci danno anche istruzioni precise su dove andare a fare pipì prima e durante la celebrazione, cosa che dovrebbe darci un indizio sulla durata della messa. La guida parla delle funzioni alla Greater Refuge Temple come ricche di "singing, shouting, foot stomping, and a 60-member choir": tutto promette bene. La celebrazione dovrebbe iniziare alle 11, ma già alle 10:30 quattro ottuagenarie vestite di nero e munite di tamburelli, accompagnate al pianoforte da un'altra ottuagenaria tutta in giallo dalla gonna al cappellino, iniziano a cantare a cappella, alternando ai canti ferventi racconti di esperienze mistiche. Passato il primo momento di straniamento, la cosa è già coinvolgente.

Alle 11 entrano finalmente i vicepastori, poi c'è la processione del coro, e inizia il vero gospel, quello che ci aspettiamo tutti dalla visione dei Blues Brother ("Tu hai visto la luce!"). Sembrerebbe in effetti di essere a un concerto, non fosse per i fervorosi intermezzi dei vice-pastori, e i numerosi "amen!", "alleluia!" e "praise the Lord!" che erompono dalla folla tra un canto e un'orazione. Ci va almeno un'ora perché faccia finalmente il suo ingresso il pastore titolare, come la rockstar famosa che entra dopo che hanno suonato i gruppi di spalla. Tra altri canti e balli e battimenti di piedi, ormai ci pare quasi di essere parte della comunità.

A dirla tutta, mi commuovo più di una volta. La fede di queste persone passa per le mani e le voci, in un modo a cui noi vecchi europei ieratici e cerebrali non siamo (più?) abituati, ed è chiaro che, per coloro che vengono qui ogni settimana e per cui questo posto è una casa, l'esperienza di fede è certamente quella di una vera e propria salvezza. Mi ritrovo a pensare che questa è ancora (di nuovo?) una religione per i disperati e gli oppressi, gli ultimi e i bisognosi, che qui negli Stati Uniti sono certamente ancora, anche se non solo, i neri. È forse l'unica religione che abbia diritto e senso di esistere, mi dico mentre ormai batto mani e piedi all'unisono con la congregazione. Amen! Alleluia!

Dopo un paio d'ore decidiamo di uscire. Per alcuni tra noi - le bambine prima di tutto - stare fino alla fine probabilmente rovinerebbe l'esperienza, anche per via della fatica a seguire un inglese in cui l'accento non è affatto facile anche per i più poliglotti tra noi. La celebrazione è lontana dall'essere alla fine, e durerà probabilmente ancora almeno un'altra oretta (manca il sermone principale, e probabilmente una terza colletta). Pare che due ore e mezza o tre ore siano la norma. Uscendo piove ancora più che all'ingresso, ma il deli di fronte alla chiesa ci fa degli ottimi panini al pastrami, cosa che permette di chiudere in bellezza la mattinata mistico-spirituale newyorkese. Io opto però per un panino bacon-and-chicken-cajun, perché sono un bastian-cuntrari ecumenico. Buo-nis-si-mo.

Tornando in albergo, cerco di capire qualcosa di più sulla foresta di confessioni cristiane che abbiamo incrociato. Cercando su internet scopro che la Greater Refuge Temple è la sede centrale del movimento degli Oneness Pentecostal, che sono una branca scismatica del Pentecostali, sono parecchio conservatori , e teologicamente possono considerarsi una forma di monarchismo modalistico: come non accorgersene?! Finisco a passare la serata  navigando attraverso le infinite scissioni del protestantesimo, e mi punge persino vaghezza di laurearmi in teologia. Sono un fisico, cosa ci vorrà mai?

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Commenti

  1. juhan dice

    1 Novembre 2019 alle 13:48

    Frattanto la materia oscura ...
    OOPS! buone ferie. Ottimo resoconto. Una frisa d'invidia.

    Rispondi
    • Marco dice

      1 Novembre 2019 alle 14:23

      Frattanto la materia oscura resta oscura, in ogni possibile senso e a prescindere dalle serate dedicatele 🙂

      (non essere invidioso, manco 'na frisa, fa male alla pelle)

      Rispondi
  2. umbe dice

    6 Novembre 2019 alle 18:53

    Un fisico che non ha mai considerato una volta una possibile laurea in teologia è solo un matematico di poco ortodosse qualità matematiche.

    Rispondi
  3. yopenzo dice

    8 Novembre 2019 alle 01:58

    "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli."

    Così quando avrai fatto il phd in teologia magari ce la potrai spiegare, che i ciccioni sudati che si agitano a ritmo di gospel parrebbe l'abbiano già capita, loro, così come i loro cugini, in genere più magri, genuflessi, meno rumorosi ma certo più numerosi e altrettanto imbecilli ma anche di più (maggioreuguale).

    Gli yanomami, sebbene alquanto nervosetti, sono una via di mezzo adorabile, per dire: ognuno spara le sue di cazzate quando si tratta di "dare un senso a questa vita che un senso non ce l'ha".

    Io mi trovo bene col whisky di qualità, sempre per dire.

    Rispondi
    • Marco dice

      8 Novembre 2019 alle 11:11

      Oh, un commento con una citazione evangelica e una di Vasco mancava a questo blog 🙂

      Caro Yopenzo, come sai tutte le opinioni sono ben accette su queste pagine, ti segnalo solo che qualcuno potrebbe pensare che un'espressione come "ciccioni sudati" sia un dito razzista, o perlomeno stereotipa (nella chiesa pentecostale di cui parlo nel post, per esempio, erano tutti piuttosto magrini. Ma divago, ci siamo capiti).

      Buone bevute.

      Rispondi
  4. yopenzo dice

    8 Novembre 2019 alle 17:06

    Caro Marco, nessun razzismo, mai. Anche perché a me gli umani stanno tutti più o meno sulle palle in maniera eguale: vikinghi o svizzeri o boscimani che siano.
    È solo che certe immagini hanno una forza evocativa enorme per me, e quando sento gospel, Eddie Murphy (e famiglia) ne "Il professore matto (The Nutty Professor)" gli stereotipi mi appaiono per default nella zucca. Sarà mica razzista pure lui?
    https://www.youtube.com/watch?v=4CfEIxqga-0
    Ciao.

    Rispondi
  5. yopenzo dice

    9 Novembre 2019 alle 18:20

    Marco, già che stiamo sul colloquiale e sulla metafisica, ti chiedo due robine da nulla che è un pezzo che ci pensavo. Di chiedertelo. Ovviamente hai la facoltà di non rispondere, anche perché tutto quello che dirai etc. 🙂 ma visto che da buon scientifico ami anche la fantascienza...
    1) ho una gran voglia di vedere i dinosauri live di 100/200 miloni di anni
    fa, qui sulla Terra, però certo quando/se si potrà io sarò morto da un pezzo. Quindi:
    secondo te, saranno mai possibili i viaggi nel tempo, magari con recupero postumo del database cerebrale dei defunti cossicché anch'essi potranno goderne?
    2) secondo te, perché c'è qualcosa (atomi, molecole, stelle e pianeti) e non un bel nulla? ma proprio nulla eh, manco il vuoto quantistico - quel temibile "ribollire di coppie di particelle virtuali " -, qualunque cosa esso sia?

    Questo messaggio NON si autodistruggerà entro 5 minuti.

    Ciao!

    Rispondi
  6. Marco dice

    9 Novembre 2019 alle 18:24

    Ah, domande da nulla, eh? E dunque:

    1) Non lo so, ma da quanto possiamo dire oggi direi di no. Ovviamente potrei sbagliarmi, in fondo chissà cosa sapere di questo universo da 20000 anni, ma diciamo che le probabilità mi sembrano basse.

    2) Non ne ho la più pallida idea (né temo ce l'abbia nessuno, e non è una domanda esattamente nuova...)

    Rispondi
    • yopenzo dice

      9 Novembre 2019 alle 18:31

      Dobbiamo assolutamente approfondire! 8)
      (Grazie per la risposta "rapida" nel frattempo)

      Ciao.

      Rispondi
  7. juhan dice

    10 Novembre 2019 alle 08:17

    Se mi scusate l'intromissione.... è che ho una domanda anch'io: ma tra 20mila anni come saranno gli umani? A dire il vero, ricordi di quando ero giovane, non so se esco ancora di più fuori tema ma Barbarella, prima fumetto francese su Linus e poi film con Jane Fonda, era ambientato nel 40000.

    Rispondi
    • yopenzo dice

      10 Novembre 2019 alle 16:33

      Tra 20mila anni, se non si fa esplodere prima, l’uomo sarà morfologicamente identico a noi ora, se diamo per buone le datazioni sull’homo sapiens. Quindi rimarrà dal brutto, tipo gli aborigeni australiani, gli indios boliviani e i congolesi, al molto brutto, tipo i norvegesi, i cinesi e i bergamaschi, i quali si contendono il titolo coi texani. Sulla deficienza in generale non facciamo favoritismi: tutti a pari merito per sempre.

      Rispondi
  8. GIGI dice

    11 Novembre 2019 alle 16:06

    Tu pensa dove si va a finire quando si esce per fare un giretto a New York!

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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