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Un incomprensibile senso di distanza

14 Marzo 2007 2 commenti

Ginevra è una città strana. Sembra stare in Svizzera quasi per errore, perché se riuscite a incontrare uno svizzero a Ginevra siete persone piuttosto fortunate. Gli svizzeri veri, i ginevrini, a Ginevra sono pochi (si dice ormai non più di un quarto della popolazione), e se ne stanno ben nascosti. Se ve ne andate in giro per il centro o lungo il lago sentirete parlare inglese, italiano, portoghese, arabo, una manciata di lingue dell'est europeo e qualcuna scandinava, e certamente anche francese, però con una dozzina di accenti diversi.

Le comunità nazionali a Ginevra sono tante, ben nutrite e autosufficienti: i portoghesi hanno il monopolio delle pulizie dei palazzi delle organizzazioni internazionali, CERN compreso, e spuntano solo dopo le 6 di sera. Gli italiani occupano i ristoranti dove cucinano versioni internazionali di pizza e pasta, e sono sempre ben contenti di servire un connazionale. I turchi aggiustano i tubi, i cinesi vendono silenziosi qualunque cosa. Gli inglesi hanno negozi inglesi, pub inglesi (o meglio, inglesi, scozzesi e irlandesi), e poi supermercati inglesi dove comprare porridge inglese e formaggio inglese, persino una radio ginevrina inglese: a Ginevra si può vivere tutta una vita senza mai imparare il francese. Per esempio gli ungheresi del CERN hanno scelto di sapere solo "merci" e "bonjour", e vanno avanti così da quando li conosco, stranieri in terra straniera. Gli arabi di Ginevra sono qui per tenere d'occhio compagnie aeree e finanze, insomma petrolsoldi, e girano sempre in gruppo, anche dal dottore, tutti più o meno velati a partire dai 10 anni, sceicchi capifamiglia compresi. I filippini sono tanti, anglofoni e cattolici, ovvero uno degli zoccoli duri della non-svizzerità di Ginevra. Si trovano la domenica pomeriggio per la Messa nella chiesa davanti alla stazione di Cornavin, e animano il coro delle celebrazioni.

Non so avete presente la Guida Galattica per gli autostoppisti. Proprio all'inizio, prima che parta tutta la baraonda, i due protagonisti sono ancora sulla Terra, Terra che sta per essere demolita, motivo per il quale i due devono darsela a gambe prima di venire vaporizzati dai cattivi. Uno dei due, Ford, non è umano bensì di Betelgeuse, e il buon Adams ci spiega che:

Nei momenti di grande tensione, tutte le forme di vita esistenti emettono un infinitesimo segnale sublimale. Il segnale non fa che comunicare il senso preciso e quasi patetico dell’enorme distanza che separa l’essere che lo emette dal suo luogo di nascita. Sulla Terra è impossibile essere più lontani di venticinquemila chilometri dal luogo di nascita, il che è molto poco, per cui i segnali emessi sono talmente deboli che non si possono notare. Ford in quel momento era sotto forte tensione, e il suo luogo di nascita, vicino a Betelgeuse, era lontano seicento anni luce. Il barista barcollò un attimo, colpito da quello scioccante e incomprensibile senso di distanza.

Il coro filippino di Notre Dame canta in inglese, ma ogni tanto si concede un inno nella lingua natale. Allora le voci di solito un po' stridule si fanno magicamente intonate, le schiene di drizzano e le capacità polmonari aumentano. Se vi capita di ascoltarli, vi colpisce un forte, incomprensibile senso di distanza.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Tommaso Dorigo dice

    14 Marzo 2007 alle 17:36

    Anche questo post l'ho goduto molto, continua cosi'!

    Ciao
    T.

    Rispondi
  2. fabiogeda dice

    18 Marzo 2007 alle 19:04

    Bello!

    Rispondi

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Marco Delmastro Mi chiamo Marco Delmastro, sono un fisico delle particelle che lavora all'esperimento ATLAS al CERN di Ginevra. Su Borborigmi di un fisico renitente divago di vita all'estero lontani dall'Italia, fisica delle particelle e divulgazione scientifica, ricerca fondamentale, tecnologia e comunicazione nel mondo digitale, educazione, militanza quotidiana e altre amenità. Ho scritto un libro, Particelle familiari, che prova a raccontare cosa faccio di mestiere, e perché. Per qualche tempo ho risposto a domande di fisica (e non solo) sul podcast Tu che sei un fisico (e prima o poi potrei riprendere).

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